Loci communes, cosa? E’ un magazine di attualità e cultura evangelica che tocca temi di vita ecclesiale e culturale da una prospettiva evangelica italiana ed internazionale. Le riflessioni proposte sono volte alla fermentazione di uno sguardo cristiano sul mondo e alla promozione della cultura evangelica. “Loci communes” è in rete con chiese evangeliche, organismi, istituti di cultura, riviste di teologia, case editrici, iniziative culturali, ecc., che il magazine vuole rappresentare e a cui vuole contribuire.
Loci communes, perché? La testata evoca l’opera di Filippo Melantone che, nel 1521, organizzò i temi della fede evangelica con un taglio educativo e quella del riformatore italiano Pietro Martire Vermigli (1499-1562) i cui commentari biblici furono riorganizzati in “luoghi comuni”. Richiamando un legame con la Riforma protestante, anche quella italiana, “Loci communes” dà l’idea dell’ampiezza dei temi trattati (temi “comuni”, generali) e dell’intenzione di farlo in modo evangelico.
Loci communes, chi? La redazione è al servizio di collaborazioni aperte, nel senso che le autrici e gli autori che contribuiranno saranno numerosi.
Loci communes, come? Il logo del magazine riproduce un’immagine dei “colportori” evangelici della seconda metà dell’Ottocento che, con i loro carretti carichi di Bibbie e di libri, furono i divulgatori moderni del pensiero evangelico in Italia. Nel promuovere la cultura evangelica oggi, “Loci communes” vuole contribuire al sogno di vedere l’Italia impattata dall’evangelo.
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DOPO LA PREGHIERA MARIANA, QUELLA CON LE RELIGIONI. MA È CRISTIANESIMO QUESTO?
di Leonardo De Chirico
Ve lo immaginate l’apostolo Paolo che, all’areopago di Atene, invita i suoi ascoltatori (cultori di varie scuole filosofiche, seguaci dei vari culti antichi) a unirsi in preghiera, ognuno al proprio dio/ideale in segno di fraternità? Ve lo immaginate l’apostolo Pietro che, scrivendo ai cristiani ai quattro angoli dell’Impero romano, raccomanda loro di elevare preghiere insieme ai fedeli delle religioni orientali, greche e romane, per invocare la fine di una pandemia? E’ assurdo, per chi ha un minimo di contezza della fede biblica. Non così per la chiesa cattolica che oggi, 14 maggio, ha organizzato la “Giornata di preghiera e digiuno rivolta ai credenti di tutte le religioni” sotto l’egida dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, costituito nel 2019 pochi mesi dopo lo storico incontro di Abu Dhabi tra Papa Francesco e Ahmed al-Tayyeb, Grande Imam di al-Azhar. Incontro che ha visto la firma del controverso “Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, in cui si parla di fratellanza universale e di preghiera comune tra musulmani e cristiani.
La Giornata di oggi vedrà i credenti di tutte le religioni, ma anche chi non crede, unirsi spiritualmente per pregare la propria divinità o ideale ed implorare la fine della pandemia. Ognuno è chiamato a rivolgersi al suo dio/ideale in uno spirito di fraternità che abbraccia tutti. La posta in gioco di iniziative come queste è spiritualmente gigantesca. Muovendosi decisamente fuori dal perimetro della fede biblica, il cattolicesimo legittima le preghiere ad altre divinità o ad ideali religiosi, mette a tacere il messaggio profetico della Scrittura secondo cui o si serve il Dio biblico o si servono gli idoli, omette le rivendicazioni di Gesù Cristo come Dio-uomo venuto per salvare chi crede in Lui, modifica il significato della fraternità estendendolo indistintamente a tutta l’umanità e non più ai soli credenti in Gesù Cristo. In un colpo solo, si calpestano i presidi fondanti della fede biblica.
Questa è un’ulteriore picconata al cristianesimo biblico, segno di un cattolicesimo romano che, non essendo mai stato sottomesso alla sola Scrittura, è ansioso di espandere la sua cattolicità onnivora anche in direzioni chiaramente contrarie all’abc della fede cristiana. Non è nemmeno una novità introdotta da questo Papa gesuita dal magistero “incerto”: è il pendio scivoloso dello “sviluppo” di semi già contenuti nel Vaticano II (Lumen Gentium n. 16), rappresentati visualmente alla preghiera inter-religiosa di Assisi (1986, voluta da Giovanni Paolo II), confermati dall’esortazione apostolica di Francesco del 2013 (Evangelii Gaudium nn. 244-254) e sfociati nel “Documento sulla Fratellanza umana” del 2019. Tutto il cattolicesimo contemporaneo, mentre si apre all’ecumenismo con gli evangelici, fa lo stesso con i musulmani, i buddisti, gli atei, gli uomini di buona volontà, ecc. Per Roma l’unità non è tra i cristiani soltanto, ma tra tutte le donne e gli uomini in quanto essere umani. In base a cosa? In base al “vangelo” della comune umanità cui tutti appartengono indipendentemente dalla fede in Gesù. E’ l’evangelo biblico questo?
Per il cattolicesimo, maggio è il mese della preghiera: quella mariana e ora quella inter-religiosa, due tipologie di preghiera senza fondamento nella Scrittura, anzi contrarie ad essa. Il cattolicesimo sta mostrando quale sia il corredo genetico della sua natura profonda: non ancorato alla Scrittura soltanto, non sottomesso a Cristo soltanto, esso vuole abbracciare tutta l’umanità anche a costo di fomentare devozioni spurie e seminare confusione dottrinale. Se Paolo e Pietro venissero informati di tutto ciò si chiederebbero: ma è il nostro cristianesimo questo?
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DECIFRARE LE “CONVERSIONI”, PARTENDO DA QUELLA DI SILVIA ROMANO
di Leonardo De Chirico
La “conversione” di Silvia Romano all’Islam ha suscitato una valanga di reazioni e commenti. Ha fatto una certa impressione vedere questa giovane ragazza, dopo essere stata per 18 mesi ostaggio di gruppi terroristici islamici, scendere dalla scaletta dell’aereo che la riportava a casa vestita come una musulmana del Corno d’Africa. Non sappiamo molti particolari e sarà sicuramente necessario aspettare per farsi un’idea. A caldo ci sono due ordini di considerazioni che si possono fare in modo più o meno sensato.
1. La cultura italiana, sia quella religiosa sia quella laica, fa fatica a “processare” (cioè ad elaborare culturalmente) la conversione religiosa. Non esistono gli enzimi culturali per capire cosa significhi convertirsi ad un’altra religione. Per il cattolicesimo è una questione dottrinale associata al battesimo degli infanti. Infatti, nelle cultura a maggioranza cattolica, si diventa tali per tradizione, per appartenenza ad una cultura religiosa, per immissione in un flusso che precede e che circonda, senza necessariamente investigarlo e decidere tra alternative. Uno non si rende conto di essere cattolico e non sceglie di essere tale, ma si trova ad essere identificato col cattolicesimo per una serie di ragioni famigliari, storiche e sociali. Una ragazza italiana che diventi islamica cozza contro questa assenza di grammatica della conversione nella cultura religiosa.
Per parte laica, le conversioni religiose sono sempre avvolte in un’aura di sospetto e scetticismo. La cultura secolarizzata ancora impregnata di ideologia scientista e razionalista considera la religione uno stadio primitivo dell’umanità preda del mito. Quindi fatica a comprendere come persone scolarizzate, che viaggiano e navigano in internet, possano farsi abbindolare dalla religione. La cultura laica “debole” e relativista non capisce come una persona possa entrare in una narrazione religiosa al punto da cambiare vita in modo radicale, rifondando la sua esistenza su un credo religioso. Al massimo, la religione è vista come esperienza vagamente emotiva e dal sapore estetizzante, ma non forte abbastanza da riorientare la vita, stabilendo un “prima” e un “dopo”.
Dunque, di fronte ad un annuncio di una “conversione” (a qualunque fede o credo), la reazione italiana è di imbarazzo sospettoso. Non ci sono i codici culturali per provare a capire cosa significhi vivere una conversione.
2. Esiste un’ampia documentazione sulle conversioni religiose in “strutture obbliganti”, siano esse carceri, prigioni o luoghi di detenzione e sulla loro effettiva durata nel tempo. Ogni pastore evangelico o persona impegnata nella testimonianza ha avuto esperienza di “conversioni” di detenuti che, mentre si trovavano in cella, hanno manifestato un certo interesse per l’evangelo, salvo poi dileguarsi una volta riacquisita la libertà. In qualche modo, in una “struttura obbligante” si innesca un meccanismo complesso di volontà di sopravvivenza che si traduce in un’adesione ad un credo visto come “via di redenzione”, speranza di futuro. Fuori dalla “struttura obbligante”, questa conversione spesso evapora.
Nel caso della “conversione” di Silvia Romano, è importante considerare il contesto doppiamente “obbligante”. Per 18 mesi è stata detenuta, senza contatti, priva di libertà. In più, la coercizione cui è stata sottoposta ha anche avuto un fortissimo aspetto psicologico: tutto intorno a lei premeva per farla diventare musulmana. La “conversione” può essere figlia di questa doppia pressione obbligante e maturata da un istinto di sopravvivenza in vista di una speranza di futuro. E’ accaduto così a Silvia? Lei ha ceduto all’Islam sotto pressione e per sopravvivere? Il tempo lo dirà. Bisognerà aspettare e vedere i “frutti”.
La fede evangelica ha al proprio cuore la necessità della “conversione”. Uno non nasce cristiano, ma lo diventa per conversione a Gesù Cristo. Nel suo celebre studio Evangelicalism in Modern Britain: A History from the 1730s to the 1930s, London, Unwin Hyman 1989, lo studioso britannico David Bebbington ha documentato come il “conversionismo” sia uno dei quattro elementi qualificanti della fede evangelica (insieme al bibliocentrismo, al crucicentrismo e all’attivismo). Anche per questa ragione, rivendichiamo la libertà di conversione e la necessità di rispettare i cammini di conversione proprie e altrui. Semmai fosse autentica, la conversione di Silvia dovrebbe dar luogo ad un esercizio apologetico a favore della fede biblica e contro quella islamica. Detto questo, dobbiamo essere consapevoli che non tutte le “conversioni” sono libere e volontarie. Sotto e dietro e dentro le conversioni si possono nascondere un’infinità di motivi e manipolazioni che nulla o poco hanno a che fare con la libertà di chi dice di averla sperimentata. In ogni caso, l’albero dà i suoi frutti e il frutto, prima o poi, rivelerà la natura dell’albero.
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Loci Communes è un progetto imminente dell’Istituto di Cultura Evangelica e Documentazione.