Aborto, senza triangolazione si rischia il blocco
L’aborto è, almeno dagli anni ’70, un tema caldo e sensibile che spesso torna alla ribalta nel discorso pubblico come sta accadendo in questi giorni in Italia. Già con la pronuncia della Corte Suprema USA che quest’estate aveva revocato la storica sentenza Roe vs Wade del 1973 che l’aveva legalizzato, il dibattito era tornato caldo diventando anche un tema nell’accesa campagna elettorale. Adesso che la coalizione di centro-destra, che tradizionalmente ha una visione conservatrice sul tema, ha vinto le elezioni, la paura di restrizioni sul presunto diritto all’aborto sta facendo discutere. Non sono mancate le prime manifestazioni come quella del 28 settembre a Roma indetta dal collettivo “Non Una di Meno” nella giornata mondiale per l’aborto libero, sicuro e gratuito. Questo evento ha già sollevato critiche al governo che ancora deve entrare in carica e si è gridato al tradimento di una certa sinistra che non ha tutelato la libera scelta delle donne.
Come accade spesso, il dibattito, invece di essere pacato e dialogante, è arroccato e appiattito sulle posizioni estreme e contrapposte. Da un lato c’è il fronte pro-vita irrigidito sulla tutela della vita del nascituro a prescindere da altre considerazioni e, dall’altro, il fronte pro-scelta sostenitore del diritto della donna a scegliere sul proprio corpo sempre e comunque. Questa polarizzazione occupa gran parte del dibattito pubblico e purtroppo anche la discussione intra-cristiana e anche intra-evangelica.
Un utile strumento di orientamento sul tema è il fascicolo “Aborto”, Studi di teologia – Suppl. N. 6 (2008). In mezzo a tanti strilli, qui il tema è affrontato tenendo conto della sua complessità con biblico realismo.
I fronti pro-vita e quelli pro-scelta assumono punti di vista entrambi validi e necessari. La vita del nascituro va protetta e non messa alla mercé di scelte altrui. D’altro canto, la libertà della donna è decisiva di fronte a scelte che riguardano la sua vita. Dove le posizioni si irrigidiscono è quando si assolutizzano respingendo dal proprio campo visivo altri elementi. Facilmente allora diventano posizione biolatriche o egolatriche.
Sul tema della vita, la Bibbia assume una posizione chiara. La vita è un dono di Dio, come tale va ritenuta preziosa e meritevole di protezione. Interromperla volontariamente è un atto moralmente grave sia all’inizio della vita (aborto) che alla fine (eutanasia). La Bibbia è anche chiara nel definire vita quella del feto in formazione nel grembo materno, seppur ammette la distinzione tra vita della madre e vita del feto con le diversità nei progetti di vita. A monte del problema dell’aborto la Bibbia promuove una visione del mondo in cui il concepimento avviene nel contesto di relazione matrimoniale in cui la coppia è positivamente aperta alla genitorialità e si impegna per la salvaguardia del nascituro. Nonostante questo iniziale progetto creazionale, la Bibbia è anche realista nell’ammettere che non sempre il concepimento avviene in contesti ideali e che spesso i contesti in cui la gravidanza prende vita sono violenti, abusivi o semplicemente irresponsabili. In ogni caso, la Bibbia chiama in causa la responsabilità degli agenti morali, ciascuno per il coinvolgimento della propria sfera di sovranità. La riflessione sull’aborto che non voglia quindi appiattirsi sulle posizioni egolatriche o biolatriche ha bisogno di promuovere una bioetica che tenga in relazione le norme morali, le situazioni contingenti e i soggetti coinvolti.
Sul piano pubblico, l’idea che lo Stato non regolarizzi una realtà esistente è insostenibile. Lo Stato non può non prendere in carico il pluralismo dei diversi stili di vita e delle svariate situazioni. Quello per cui bisognerebbe battersi sarebbe una griglia normativa che favorisce la genitorialità responsabile, che tuteli le donne da situazioni di abusi, violenze, abbandoni, che elimini le disparità per le famiglie in difficoltà e che promuova la tutela sociale della maternità anche attraverso i consultori così come già previsto dalla legge 194 attualmente in vigore in Italia.
Così, mentre i toni probabilmente si infiammeranno sulla necessità di applicare la legge 194 del 1978 in maniera più permissiva o restrittiva per le donne, la chiesa evangelica piuttosto che stare a guardare o irrigidirsi su posizioni pro-vita a prescindere da tutto o di disperdere la propria eredità teologica per premiare visioni del mondo centrate sull’autodeterminazione delle donne, necessita di nutrire l’empatia e la solidarietà cristiana che, con realismo, guardano alle diverse condizioni delle donne che troppo spesso sono soggetti fragili lasciate sole. Abbiamo necessità di praticare l’accoglienza e la sensibilità per poter predicare il Vangelo di Gesù Cristo che può non solo prevenire situazioni in cui l’aborto verrebbe praticato per disperazione, ma può anche guarire e lenire dalle ferite dell’aborto che sempre e comunque ci saranno con la consolazione dello Spirito Santo.