Aiuto, anche gli atei hanno paura della “cancel culture”
Per anni si è pavoneggiato nei salotti della cultura che conta dietro l’a-teologia, la negazione di Dio e di ogni discorso sensato su di Lui, deridendo chi invece pensava, nella compagnia di Paolo, Agostino, Anselmo, Calvino, che si crede in Dio, crede per provare a comprendere e a vivere, non solo per dominare sugli altri (Marx), mascherare la volontà di potenza (Nietszche) o sublimare le proprie nevrosi (Freud). Ha addirittura pubblicato un Trattato di a-teologia (Roma, Fazi 2009), un libro che in Francia ha venduto più di 300.000 copie, che ha a suo modo portato avanti la crociata dell’ateismo che in Gran Bretagna ha visto come “missionari” Richard Dawkins e da noi Piergiorgio Oddifreddi.
Ora il filosofo francese Michael Onfray ha paura, ha paura che il giocattolo dell’ateismo e della derisione intellettuale della fede altrui gli sia sfuggito di mano e gli si stia ritorcendo contro. In un’intervista al Figaro riportata sul Foglio (24/7) da Giulio Meotti, dice di essere sgomento di fronte all’avanzare della “cancel culture” che vuole fare tabula rasa della memoria, della storia, dei simboli e dei valori cristiani dell’Occidente. Addirittura se la prende con la recente decisione di papa Francesco di eliminare la messa in latino, facendo appello alla sua preservazione. La tragica ironia è che lui ha voluto “cancellare” il cristianesimo sul piano filosofico, provando a minarne la credibilità intellettuale; ora però la “cancel culture” passa dalle parole ai fatti e allora il giochetto non sta più bene a Onfray che teme di cadere sotto le grinfie di un furore violento. Prima il filosofo francese ha alimentato il “mostro”, poi ora che il “mostro” si è messo in moto, lo disconosce e, anzi, ha paura che cancelli anche lui nella sua furia intollerante. Almeno il cristianesimo ha forgiato con fatica una cultura che rispetta l’alterità; l’ateismo della “cancel culture”, invece, è totalitario.
Dice Onfray: “Perché se Dio non è nel mio mondo, il mio mondo è quello reso possibile dal Dio dei cristiani”. E ancora: “Non credo in Yahweh, Zeus, Giove o Gesù Cristo, ma vibro con tutta questa civiltà che ha generato geni in filosofia, arte, architettura, agronomia, teologia, poesia, letteratura, storia, tecnologia, medicina, farmacia, astronomia, astrofisica, politica – tra gli altri campi …”. E’ come se dicesse: ho passato la vita a denigrare il cibo del cristianesimo, ma ora che me lo vogliono togliere da bocca senza avere nient’altro da mangiare, come campo? Finché l’ateismo lo si fa nei salotti illuminati degli intelló, bene; ora che l’ateismo si è fatto cultura dominante e programma arrabbiato di vita, male. E’ veramente possibile essere atei fino in fondo? L’ateismo è davvero una credenza ragionevole? Onfray sembra dire: sì finché si scherza nei dibattiti intellettualistici e nelle aule universitarie; ma quando il gioco si fa duro e l’ateismo diventa sistema, allora, in qualche modo, non possiamo non dirci cristiani.
Dice ancora Onfray: “I miei libri rimangono la mia etica, ma un’etica privata non è un’etica collettiva. Perché un’etica collettiva presuppone il sacro e il trascendente per imporsi con l’aiuto di un braccio armato”. A parte la strampalata teoria della necessità di un braccio armato per l’affermazione di un’etica collettiva, qui il filosofo francese dice: l’ateismo va bene per il singolo individuo, ma quando diventa una ideologia sociale è un disastro. Quando si vuole togliere Dio, il trascendente, il sacro dalla visione del mondo e dalla vita comune, si creano mostri che fanno rimpiangere il Dio che si è cercato di “uccidere” filosoficamente. Onfray è onesto: sta dicendo che l’ateismo non funziona al di fuori di etiche individuali che, però, presuppongono una matrice teista a reggere la vita sociale. Se Dio non esiste, tutto è permesso: non l’aveva già detto il Karamazov di Dostoevskij? Ora ci arriva anche Onfray, dopo aver seminato tonnellate di veleni sulla fede in Dio ammantati di arroganza intellettuale.
L’intervista a Onfray è un’ulteriore conferma di quanto diceva il grande apologeta Cornelius Van Til: anche l’ateismo, come qualsiasi altra matrice di pensiero, è un “parassita” del cristianesimo biblico. Ne prende un pezzo e vive di rendita appoggiandosi, senza peraltro riconoscerlo. Quando deve “reggere” la vita da solo, scopre che è inetto a farlo, anzi dannoso.