Babbo Natale, sì o no? Insegnare coltivando l’immaginazione
Pare che sempre meno genitori italiani raccontino ai figli la favola di Babbo Natale e che tale “tradizione” abbia iniziato a incrinarsi. Le motivazioni dei genitori negligenti sono per lo più razionali e andrebbero rivalutate.
Questo almeno è ciò che sostiene Stefania Medetti in un articolo apparso su la Repubblica (10/12/2024) dal titolo “Mentire o non mentire? Ecco perché è importante che i bambini credano a Babbo Natale”. Per sostenere l'idea interpella Loredana Cirillo, psicoterapeuta e autrice di numerosi saggi, a parer della quale, la storia di Babbo Natale ha una funzione pedagogica, sia per i bambini sia per gli adulti, e più in generale la creazione di mondi immaginari è un bisogno primario dell’uomo utile allo sviluppo emotivo e cognitivo, stimolando la riflessione e la ricerca di senso.
Abbiamo proprio bisogno di Babbo Natale per crescere emotivamente forti e razionalmente consapevoli? Si è già parlato altrove di come la figura del Babbo Natale moderno con il suo proverbiale “se te lo meriti” rappresenta “tutto quello che il Vangelo NON insegna sul Natale”.
Questa volta però la questione è un’altra: come si può insegnare la verità attraverso la fantasia? Come posso tenere insieme realtà e immaginazione?
Il rapporto fra la fantasia e la realtà nello sviluppo del bambino e nella relazione con l’adulto è stato indagato da molti illustri maestri, come Winnicott, Steiner e altri, e il rischio è quello di banalizzarlo. Ma ci sono alcune linee guida, secondo una visione del mondo biblica, che possiamo tracciare per muoverci in questo campo con discernimento?
È generalmente accettato dalla psicologia che l’immaginazione sia un processo “naturale” che aiuta i bambini a elaborare le emozioni e costruire aree-rifugio mentali che servono a mediare tra realtà esterna ed esperienza interna e che diventano luoghi in cui ritirarsi “quando il mondo diventa minaccioso”, luoghi incontaminati dalla realtà del mondo.
Secondo Cirillo questo è importante anche per gli adulti che nel coltivare con i propri figli una relazione immaginativa attorno alla storia di Babbo Natale, sono costretti a fermarsi, elaborare le proprie angosce, paure e incertezze, creare uno spazio “di decompressione” e “un antidoto alla frenesia e allo stress del Natale”.
La scoperta poi, in età scolare, dell’inesistenza di Babbo Natale diventa essa stessa pedagogica perché attiva la capacità di ragionamento nel risolvere il “mistero” di questa figura. Il bambino riflettendo sull’onniscienza e onnipresenza di Babbo Natale testa “il confine sottile fra il possibile e l’impossibile” ed esercita una delle facoltà più importanti che hanno favorito il progresso scientifico e tecnologico della nostra società, il saper guardare oltre ciò che si vede.
Immaginare per sperare
Certamente il bisogno umano di trovare luoghi di rifugio diversi da ciò che sperimenta quotidianamente è espressione evidente della realtà del peccato. È un bisogno “naturale” se per naturale intendiamo post-caduta. Il mondo e la vita hanno un lato oscuro e minaccioso a causa della maledizione del peccato che tutti noi desidereremmo eliminare.
Perciò grandi e piccini amiamo le storie e la nostra mente elabora complessi e incantevoli sogni e alcuni sentono il bisogno di un vecchio saggio rassicurante che porta gioia e doni. L’immaginazione è realista; ci parla di un bisogno dell’uomo sin da bambino di trovare risposte a ciò che non comprende totalmente, alle brutture dentro e fuori di sé, per trovare consolazione, pace, speranza e coraggio. John Bunyan scrisse Il Pellegrinaggio del cristiano mentre si trovava incarcerato.
Non dobbiamo dimenticare però che noi stessi siamo una minaccia e anzi che il mondo è un luogo minaccioso a ragione della maledizione che gli è stata attribuita per causa nostra (Genesi 3,17) e geme ed è in travaglio in attesa impaziente che qualcosa di ben diverso dalla realtà attuale si manifesti (Romani 8,18-27).
Se l’immaginazione in sé non è sbagliata ma mostra un bisogno reale, essa non deve diventare però un rifugio in sé stessa, alimentando così false speranze o peggio perpetrando le brutture. Facciamo attenzione che l’immaginazione non sia una fuga dal mondo, ma uno strumento per vivere la quotidianità con maggior speranza, mantenendo quella giusta sobrietà tra realtà e fantasia che possiamo avere solo lasciando che la Parola di Dio sempre abbia la priorità e nutra entrambe.
Quando l’immaginazione si trasforma in un fantasticare continuo ha un effetto dissociativo dalla realtà, di isolamento, e alla fine depressivo, diventando patologico e lesivo per la crescita e la formazione della persona.
Immaginare per aprire alla verità del vangelo
Perciò è vero l’immaginazione ha un ruolo fortemente pedagogico e l’uso che ne facciamo e che incoraggiamo nei nostri figli e in noi va valutato con estrema attenzione e non deve per forza seguire le vie “tradizionali”.
L’immaginazione dei nostri figli anche a Natale può essere coltivata, va però indirizzata verso “luoghi” e “personaggi” che li aiutino ad abbracciare la verità del Natale. E cosa c’è di più incantevole e confortante di un Dio che si fa uomo, entrando nella storia per mezzo di una nase “Father Christmas” nel suo classico Le cronache di Narnia.
Egli ne fa un messaggero di Aslan, il re leone di Narnia, unico in grado di salvare il regno dalle tenebre e dall’oppcita umanamente impossibile, nelle sembianze di un bimbo, nudo e affamato, che è nutrito di panna e miele, il quale ha imparato a rigettare il male e scegliere il bene per la gioia, la pace, l’amore e la salvezza del mondo, passando volontariamente attraverso la morte e vincendola eternamente (Isaia 7,14-15)? La realtà e l’immaginazione si incontrano.
Anche Babbo Natale può cambiare. Ce ne ha dato un magnifico esempio C.S. Lewis quando descrissressione della regina Bianca che ha gettato il paese in un lungo inverno senza mai Natale. Egli arriva nella storia e non ha l’aria buffa e canzonatoria dei Babbo Natale ai cui siamo abituati, piuttosto “solo a guardarlo ci si sentiva invadere da una strana sensazione di gioia tranquilla, da una gran pace, intima e solenne” (Mondadori 2005, p. 230).
Babbo Natale arriva come il portatore della buona notizia che Aslan sta per arrivare portando la tanto attesa liberazione e come segno lascia in dono dei regali utili ad affrontare l’attesa e la battaglia, andando via al grido di “Evviva il vero re!”.
Sappiamo che Lewis con la sua arte letteraria elaborava storie fantastiche con il preciso scopo di veicolare il messaggio evangelico. L’immaginazione può veicolare la verità, se apre le porte ad un luogo di vero rifugio: le braccia di Cristo.
Lewis riteneva che il suo compito letterario fosse quello di “condurre i suoi lettori nei pressi di una finestra che gettasse uno sguardo fuori dalla stanza buia e soffocante della modernità, per spalancarne le imposte e indicare a noi tutti l’enorme vista che si stende oltre la stanzetta nella quale siamo rinchiusi” (H. Howard, Narnia e oltre. I romanzi di C.S. Lewis, Bologna, Marietti 2008, pp. 5-6).
Credere nell’impossibile
Certo la fantasia con le sue “impossibilità” può anche nutrire la nostra creatività e la capacità di immaginare cose che oggi appaiono impossibili, ma ciò non avviene grazie all’immaginazione in sé e per sé o grazie all’idea di Babbo Natale.
La capacità di pensare l’impensabile e di credere l’impossibile si fonda nel fatto che siamo creature a immagine di Dio, il Dio che ha affermato “sarà forse impossibile anche agli occhi miei?" (Zaccaria 8,6) e che poi ha realizzato l’impossibile in Cristo.
C’è una sana immaginazione che possiamo stimolare in noi e nei nostri figli, a Natale e per tutto l’anno, attraverso la lettura della Scrittura che ci mette in grado per opera dello Spirito Santo di vedere ciò che i nostri occhi carnali non vedono ancora e di sperare in un “impossibile” certo.
È per fede che l’immaginazione produce speranza perché sappiamo che la venuta di Cristo nel mondo ha inaugurato una restaurazione della realtà che bramiamo ma che le nostre migliori fantasie non possono minimamente eguagliare.
Perciò siamo liberi di usare l’immaginazione per trasmettere delle verità, ma aiutiamo i bambini a non cercare il proprio “rifugio” in essa. Che loro possano affermare insieme a noi: “abbiamo cercato il nostro rifugio nell'afferrare saldamente la speranza che ci era messa davanti. Questa speranza la teniamo come un'àncora dell'anima, sicura e ferma, che penetra oltre la cortina, dove Gesù è entrato per noi quale precursore” (Ebrei 6,18-20).
Cresceremo emotivamente forti e razionalmente consapevoli anche senza Babbo Natale, ma non possiamo dire lo stesso senza Cristo. Abbiamo bisogno di Cristo per vivere nella realtà immaginando l’inimmaginabile che verrà.