Fine mandato. Il discorso di capodanno del Presidente Mattarella

 
 

E’ una di quelle tradizioni a cui ci si sottopone senza grandi aspettative, ma nella consapevolezza che si tratta comunque di un rito di passaggio verso il nuovo anno. E’ il discorso di fine anno che il Presidente della Repubblica rivolge al Paese. Quest’anno, poi, il discorso era un po’ più atteso in quanto era l’ultimo di Mattarella, in scadenza di mandato. 

La scenografia è stata più curata. Invece della statica postazione in scrivania, il Presidente ha parlato in piedi con alle spalle uno squarcio sui giardini del Quirinale (splendidi). Sembrava anche meno ingessato del solito, più espressivo. Il discorso è stato una sorta di bilancio del settennato e uno sguardo sull’Italia di oggi. 

Il Presidente Mattarella è una persona seria che ha svolto il suo mandato in un periodo accidentato: la vittoria alle elezioni del Movimento 5 stelle (il cui capo politico aveva sino al giorno prima gridato all’impeachment del Presidente), l’incarico all’allora sconosciuto Giuseppe Conte con una maggioranza e poi con un’altra, la pandemia, la chiamata di Mario Draghi, … danno l’idea della complessità politico-istituzionale di questi anni che il Presidente ha gestito con responsabilità. Mattarella è stato un punto di riferimento nel turbinio degli eventi.  

Il discorso ha avuto molti tratti convenzionali sia nella scelta dei temi, sia nel mondo di argomentarli. C’è una grande dose di retorica quando si parla dell’Italia come una “unità istituzionale e unità morale”. Cosa significano concretamente queste espressioni, soprattutto la seconda? Mentre le istituzioni hanno una parvenza di sgangherata funzionalità, cosa vuol dire che il Paese sia unito moralmente? Quando un terzo dell’economia è sommerso, quando l’evasione fiscale rimane tra le più alte al mondo, quando il gelo demografico mette a rischio la sopravvivenza del Paese nei prossimi decenni, in che senso il Paese è unito moralmente? Quale unità? Quale morale? Non è questa retorica da usare nei discorsi ufficiali più che una descrizione della realtà? 

Vero è che il Presidente ha citato alcuni esempi virtuosi di giovani che si impegnano negli studi, nel volontariato, nello sport, nella comunità, ma si tratta pur sempre di eccezioni. Il Paese reale è a macchia di leopardo con eccellenze diffuse, ma anche con molteplici sacche incistite di inciviltà e di scarsa responsabilità pubblica. Ai giovani ha rivolto parole di incoraggiamento. Il tratto più interessante è stata la citazione di un insegnante di Ravanusa (morto recentemente per il crollo di una palazzina a seguito di una fuga di gas) che aveva scritto ai suoi studenti: “mordete la vita”, incitandoli a non essere passivi di fronte alla realtà, ma a “costruirla” con intraprendenza. Anche qui: bello il richiamo, ma su che basi morali si può osare e mordere la vita? Se il tessuto del Paese, privo com’è stato di “riforma religiosa” o di “rivoluzione politica”, ma solo spruzzato da un effimero “risorgimento”, è fragile e lacerato, come si può motivare l’intraprendenza, la fiducia e il coraggio se non facendo affidamento ad una retorica di circostanza? 

Nel discorso Mattarella non ha fatto riferimento a Dio, ma non poteva mancare il ringraziamento a papa Francesco. E’ come se la presenza della chiesa cattolica, anche se defilata, non possa mai essere accantonata dall’immaginario degli italiani che si sentono comunque in dovere di esprimere deferenza al Pontefice romano. Non è questa una forma di sudditanza culturale? Il Presidente ha ringraziato il papa per la “forza del suo magistero”. Anche qui, stona non poco questo riferimento vista la confusione magisteriale che imperversa nella chiesa di Francesco e il conflitto di interpretazioni tra poli contrapposti su quello che il Papa dice o non dice. In più, mentre il Presidente ringrazia papa Francesco, il Paese reale non sembra in sintonia visto il crescente distacco dalla pratica religiosa cattolica che, anche quest’anno, è cresciuto. Sembra allora che l’Italia delle istituzioni debba ancora accettare una qualche forma di primazia della chiesa cattolica, mentre il Paese reale prende congedo da essa, almeno nelle forme tradizionali del vissuto cattolico. E’ ora che anche nei discorsi ufficiali se ne prenda atto.