Il Pirellone, icona del nuovo che non lo è veramente

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Compie 60 anni il Pirellone, il grattacielo di Milano che è entrato nell’immaginario collettivo italiano. Nel 1960 veniva infatti inaugurato questo grattacielo frutto dell’ingegno di architetti del calibro di Gio Ponti e Pier Luigi Nervi e altri. Il “Pirelun” era così simile ai grattacieli americani, ma anche così diverso, con uno “stile” proprio da renderlo un “unicum” architettonico immediatamente riconoscibile. Ricordo che da bambino, abitando in una città di provincia e visitando Milano un paio di volte l’anno, la vista del Pirellone suscitava ammirazione e stupore. Uscendo dalla Stazione, voltarsi a destra, fermarsi a guardarlo svettare, così slanciato, sottile come una lama e nello stesso tempo massiccio come una montagna, era un’emozione forte.  

Come ogni monumento di questo calibro, il Pirellone non è “solo” un edificio fatto di cemento e acciaio: è un’icona di una cultura. E’ il simbolo della Milano industriale che diventa una città europea e globale. E’ il totem del miracolo economico degli Anni Sessanta e della ricchezza diffusa. E’ emblema dell’industrializzazione avanzata di un Paese. E’ la rappresentazione plastica di una società che vuole modernizzarsi sfidando le leggi della gravità, impiegando materiali innovativi, disegnando una figura avveniristica per il tempo e ridisegnando gli spazi urbani. Il Pirellone è il nuovo che avanza e la cifra di una cultura dinamica che non vuole solo identificarsi col passato (i monumenti della storia) ma vuole crearne di nuovi e di propri. Il Pirellone è diventato il punto di riferimento nello spazio e nell’immaginario.

Tutto questo è vero, sino ad un certo punto. A ben vedere, il Pirellone, pur con la sua ansia di novità e di modernità, soggiace ad una narrazione culturale e spirituale che lo precede e che lo avvolge. Prima del grattacielo e per lunghi secoli, il punto più alto della città di Milano era stata la Madonnina del Duomo. Dalla guglia più alta del Duomo, dai suoi 108,5 metri, la Madonnina ha “dominato Milano”, come dice la famosissima canzone. L’altezza non è solo un criterio numerico, ma culturale. La città per secoli si è pensata sotto lo sguardo della Madonna, al servizio della Madonna, sotto l’istituzione ecclesiastica cattolica romana e della sua ideologia religiosa. L’aver riservato il punto più alto alla Madonnina è stato un segno di sudditanza culturale che ha plasmato in profondità l’anima della città (e non solo).  

Coi suoi 127 metri, il grattacielo Pirelli fu costruito più alto della Madonnina. Tuttavia, una copia della Madonnina è stata posta sulla sommità del grattacielo in modo da rispettare la primazia riconosciuta alla devozione cattolica. Questa copia è stata poi spostata nel 2010 sulla sommità del Palazzo Lombardia, a 161 metri d’altezza. Come se non bastasse, e visto che i grattacieli di Milano sono negli ultimi anni cresciuti di numero e di altezza, ora la copia è stata issata sulla sommità della Torre Isozaki a 209 metri d’altezza, così da rispettare la tradizione di avere la Madonnina sul punto più alto della città.  

A Milano come altrove, la cultura del “nuovo” ha dovuto fare i conti con la tradizione del “passato”. Il moderno non è veramente nuovo, ma è uno strato che si sovrappone al vecchio e che, alla fine, viene avvolto da esso e quasi soffocato. Mentre il Pirellone esprimeva l’esigenza di novità, reiterava la sudditanza simbolica ad un culto religioso. Mentre voleva raggiungere nuove vette e nuove visioni, riconosceva il primato della Madonnina barocca. Mentre interpretava il nuovo, si sottoponeva al vecchio. 

In questo anelito di “nuovo”, il Pirellone è stato surclassato da altri grattacieli che, negli ultimi decenni, hanno cambiato lo skyline della città. Eppure la Madonnina è ancora sul tetto della città e, da lassù, “domina Milano”. Il nuovo è stato assorbito dal vecchio. La secolarizzazione di Milano è un nuovo capitolo di una storia che si svolge sotto l’egida del culto mariano da cui non riesce veramente ad emanciparsi.