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Il sermone delle 3P del G20

Popolo, Pianeta, Prosperità. Sembrano tre punti di un sermone, ma sono i temi discussi al G20 appena conclusosi a Roma che ha visto molti leader di importanti Paesi incontrarsi per due giorni. Le 3P sono le priorità (un’altra P) del mondo attuale, le questioni urgenti. Da un lato, l’attenzione ai bisogni del popolo e dei popoli dopo essere stati colpiti dalla pandemia che ha messo a dura prova la tenuta delle comunità locali e nazionali. Dall’altro, la preoccupazione per le condizioni deteriorate del pianeta (dal cambiamento climatico all’esaurimento delle risorse) che spingono ad una radicale “transizione ecologica”. Infine, l’aspirazione a rilanciare la prosperità come orizzonte di crescita e di sviluppo dopo una travagliata stagione che ha visto l’aumento delle disparità economiche a livello globale. Dunque, in ottima sintesi sermonica: 3P.

Nel delineare le 3P, il G20 ha elaborato la struttura di una specie di sermone secolare. Ha messo in evidenza quali sono i punti sensibili nella governance tecnocratica globale. Ha indicato quali priorità la comunità internazionale vuole darsi per aprirsi al futuro.

Si può ovviamente discutere su ciascun punto. Ad esempio, siamo sicuri che il G20 voglia davvero rispettare i popoli nella loro autonomia o non li voglia imbrigliare in una rete globalista che toglie spazio alla loro legittima sovranità? Non è forse vero che la spinta delle organizzazioni internazionali e dei giganti corporativi mondiali è spesso di omologare i popoli dentro griglie culturali imposte (ad esempio sul tema dei “diritti riproduttivi” – leggi aborto –), riducendo gli spazi della loro responsabilità nazionale? 

Sul pianeta, d’accordo per quanto riguarda le preoccupazioni espresse per il degrado delle condizioni del mondo, ma siamo sicuri che tutta la costosa ed inquinante movimentazione di mezzi per assicurare gli spostamenti dei “grandi” (si pensi ad esempio al lunghissimo corteo di auto pesanti del Presidente Biden) sia in linea con le parole spese in favore dell’ambiente? Mentre il G20 parla di “pianeta” in termini allarmati, non dovrebbe farlo in modo sobrio e coerente dando un esempio di stili di vita semplice e a basso impatto sull’ambiente? 

Infine, la prosperità. Certamente, l’ambizione di far crescere il benessere diffuso è un obbiettivo encomiabile, ma siamo sicuri che la prosperità materiale sia un indice di “salute” che possa essere promosso senza incrementi nella cultura, nella socialità e nella libertà religiosa? È la tecnocrazia dei ministri economici del G20 sufficiente per creare sviluppo e distribuire equamente la prosperità?  

Questo per dire che il sermone secolare dei G20, per quanto efficace sul piano della comunicazione con il riferimento alle 3P, resta un sermone settoriale e per molti aspetti unilaterale. Un pensiero vada anche al lancio della monetina nella Fontana di Trevi cui si sono sottoposti i “grandi” in una foto di gruppo dal sapore goliardico. Il ricorso ad una pratica scaramantica cosa dice sulla “religiosità” secolarizzata di questi grandi consessi mondiali? Per quanto una simile pratica possa far sorridere chi la osserva, essa non è “neutra” dal punto di vista religioso. Al contrario, implica una visione del mondo magica che, almeno sulla carta, contraddice la tecnocrazia scientista della cultura della governance mondiale, ma che testimonia il fatto che nel cuore dei “potenti” scientismo e superstizione coesistano. 

Con questi e altri punti interrogativi, almeno il G20 ha avuto l’ardire di proporre il proprio sermone secolare delle 3P. Se interrogate sul messaggio da estendere al mondo in questo frangente storico, cosa direbbero le chiese evangeliche alla società globale? Sarebbero in grado di articolare un pensiero in tre punti sintetici o si perderebbero in retoriche religiose ampollose ed astratte? Se dovessero organizzare una sorta di G20 evangelico globale, cosa direbbero gli evangelici al mondo?

Qualcuno ha osservato che, nel mondo evangelico contemporaneo, dalla stringatezza delle 3 paginette del Patto di Losanna (1974), si è passati alla quadruplicazione dell’estensione del Manifesto di Manila (1989) fino ad arrivare alla dilatazione ulteriore dell’Impegno di Città del Capo (2010) che è un testo oggettivamente lungo. Invece di praticare la sintesi sermonica, sembra che gli evangelici stiano moltiplicando le parole perdendo forse in chiarezza e capacità di penetrazione.

Parafrasando il Signore Gesù (Luca 16,8), si potrebbe forse dire che i potenti del G20 sono più avveduti dei figli della luce, almeno nella capacità di esprimere in modo sintetico le loro priorità, quasi fossero punti di un sermone.


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