La trappola delle culle: dato demografico, problema culturale

 
 

Perché non fare figli è un problema per l’Italia? Come uscirne? Questo il sottotitolo del libro al centro del secondo incontro di “Libri per Roma per l’a.a. 2023/2024: La trappola delle culle, Soveria Mannelli, Rubbettino 2022, Rubettino, presentato da uno dei suoi due autori, Luca Cifoni. In queste due domande sono riassunte le questioni con cui il Paese si sta scontrando e che fino ad ora il sistema politico e l’opinione pubblica non avevano veramente affrontato. Non fare figli per l’Italia è un problema sotto molti punti di vista e non si tratta di un allarme lontano, ma di una realtà già tangibile.

I dati parlano chiaro: siamo il Paese con meno nascite in Europa. Siamo la seconda nazione più vecchia al mondo. Dal 2014 al 2022 abbiamo perso la popolazione equivalente alla provincia di Bolzano. Da almeno undici anni i numeri delle nascite continuano a scendere ininterrottamente e le previsioni non lasciano sperare in un immediato cambio di rotta. Per capire come siamo arrivati qui bisogna fare un passo indietro. Arrivando al 1964, esattamente 60 anni fa, si ritrova il punto più alto di nascite mai registrate in Italia. Quasi un milione di bambini riempirono, in quell’anno, le culle delle case in ammodernamento degli italiani e in pieno boom economico. A quelle cifre non si è mai più arrivati e, ad oggi, gli sforzi e gli auspici dei demografi puntano a far tornare le nascite ad una soglia di cinquecentomila bambini all’anno: la metà di quelli che spontaneamente nacquero sessant’anni fa.

Con il boom economico la società italiana si è trasformata profondamente non solo nei comportamenti di consumo, ma soprattutto nel sistema di valori di riferimento. L’introduzione dell’aborto, della pillola, del divorzio, del nuovo ruolo della donna nella società non sono gli unici fattori, se pur incisivi ad avere effetti sulla natalità. L’insistenza sull’individuo, sulla realizzazione personale, sul raggiungimento degli obiettivi personali hanno rincarato la dose sulla mancanza di nascite. Infine, un sistema economico fragile e le politiche incerte e sporadiche per il sostegno alla famiglia non hanno fatto altro che incoraggiare la denatalità. Insomma, nel giro di sessant’anni l’attenzione per la famiglia è tragicamente sparita dagli interessi privati e dal discorso pubblico. La cultura contemporanea ha prodotto, così, una società letteralmente sterile, incapace di guardare al futuro e ad aprirsi alla cura dei figli.

La continua mancanza di nascite ha prodotto un corto circuito per il quale, a questo punto, mancano all’appello migliaia di potenziali genitori che non riusciranno a colmare il mezzo milione di assenze. Ecco che il Paese si ritrova in una trappola demografica. Benché i movimenti ecologisti e progressisti ritengono che non sia un male diminuire la popolazione mondiale, in realtà le società con scarsa natalità, sono società malate e problematiche. Sono società con problemi economici, di previdenza e con un sistema sanitario sotto pressione. Società in cui mancano i giovani diventano chiuse, poco dinamiche, ripiegate su sé stesse e senza vitalità. Con sempre meno nascite e sempre più lunghe aspettative di vita, l’Italia, allora, potrebbe diventare una gerontocrazia malfunzionante.

Esiste una soluzione? Per gli autori del libro, più che soluzioni si dovrebbero adottare delle strategie mirate, veloci e sostanziali a supporto della natalità. Per lo più si tratterebbe di strategie politiche ed economiche. Viene però individuato nel libro anche la necessità di cambiare la comunicazione pubblica e l’atteggiamento privato verso la genitorialità che da anni ormai subisce uno screditamento in quanto responsabilità che ferma le aspirazioni individuali.

Nonostante l’intuizione degli autori sulle radici culturali del problema, soluzioni non ideologiche e non retoriche, così come da loro indicato, sembrano difficili da attuare. La genitorialità è infatti una scelta radicale che coinvolge le sfere più intime e profonde. La natalità non ha a che fare con decisioni estemporanee prese sul momento. A questo punto viene da chiedersi se la denatalità non sia più una questione teologica che sociologica. Quello che comprendiamo o meno del Dio creatore, cambia e modella quello che crediamo dello scopo della vita, delle scelte prese e delle direzioni seguite. La genitorialità non si muove fuori da questo perimetro.  

Lungi dal diventare l’idolo ultimo a cui affidare il senso dell’esistenza, la genitorialità è una benedizione nell’ordine creazionale ed è considerata un dono. Da qui bisogna ripartire. La situazione in cui versa la nostra nazione ci restituisce un’immagine della sua sterilità spirituale prima che demografica. La trappola delle culle è allora un problema culturale prima che demografico.