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L'Europa è cristiana?

[Questo articolo è stato già pubblicato il 14 settembre 2020. In occasione del periodo estivo, la redazione di Loci Communes ha scelto di ripubblicare articoli che ritiene rilevanti, alternandoli a nuovi. Buona lettura!]

C’era una volta l’Europa cristiana (che bello!); ora non c’è più (aiuto!). Che fare visto che il futuro è incerto? Questa storia semplificata e questa domanda ansiogena sono spesso la cornice di tanti discorsi sul continente europeo. Si dà per scontato che esista un passato cristiano “idealizzato” dell’Europa e si esprime una preoccupazione crescente sul suo futuro privo di “identità cristiana”.  Molte proposte politico-culturali sono fiorite grazie a questa lettura: dalla percezione della “invasione” degli immigrati venuti per cambiare il DNA dell’Europa alla conquista dell’Islam; dalla difesa delle “radici cristiane” all’arroccamento sui suoi “simboli” identitari (rosario, crocifisso, ecc.).

 

Per navigare in questo dibattito che suscita tante emozioni forti, oltre al fascicolo “L’Europa delle religioni”Studi di teologia N. 40 (2008/2), è utile il volumetto di Olivier Roy, L’Europa è ancora cristiana?, Milano, Feltrinelli 2019. Partendo dalla costituzione dell’Unione Europea – i cui fondatori Schumann, Adenauer e De Gasperi erano tutti devoti cattolici – Roy ripercorre i passaggi che hanno portato l’Europa di oggi a vivere una crisi d’identità. I processi di de-cristianizzazione culturale e di secolarizzazione religiosa, la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, l’arrivo dell’Islam in Europa … sono tutti processi che hanno corroso da dentro l’anima “cristiana” dell’Europa.

Più in dettaglio, Roy si interroga sul senso della “eredità cristiana” europea. E’ chiaro che essa è stata forgiata nel corso dei secoli in un regime di cristianesimo moltitudinista (che confondeva l’appartenenza alla chiesa con i diritti di cittadinanza), nominale (che attribuiva la qualifica di cristiano non in base alla professione personale e coerente di fede) e costantiniano (che presupponeva a vario titolo l’ingerenza politica della chiesa). Questo cristianesimo (nelle sue diverse variabili confessionali) ha plasmato l’Europa: un cristianesimo che, di per sé, non significa fede in Cristo. Certamente, le istituzioni, la legislazione, le pratiche di vite europee sono state più o meno influenzate dalla cultura cristiana, ma l’Europa è stata anche la madre di tante deviazioni non cristiane o mai del tutto tali. Nel parlare di Europa “cristiana” bisogna avere consapevolezza di ciò di cui si sta parlando, riconoscendo i lati buoni di questa eredità, ma anche le tante distorsioni e deviazioni (guerre di religione, olocausto, ecc.). L’Europa cristiana non è stata “l’età dell’oro” da cui ci siamo allontanati, ma una lunga e complessa stagione in cui si è affermato un cristianesimo spurio da riformare secondo la Parola di Dio.   

In altri capitoli, Roy analizza lo scontro tra l’eredità cristiana e la modernità che in Europa ha visto prevalere la seconda sulla prima in termini di secolarizzazione diffusa della cultura. Dopo gli anni Sessanta, l’Europa non ha più solo i valori cristiani secolarizzati (dignità, famiglia, decenza, ecc.), ma ha proprio un altro set di valori condivisi (scelta individuale massimizzata, sessualità libera, edonismo, ecc). Di fronte a questi cambiamenti, le religioni si sono “auto-secolarizzate” adottando gli standard attuali: si pensi al liberalismo protestante che si è progressivamente e placidamente adeguato alla nuova cultura pro-aborto, pro-eutanasia, pro-matrimoni gay, pro-sessualità libera. Si pensi al cattolicesimo che, dopo aver cercato di combattere queste tendenze (con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) si sta auto-secolarizzando con Francesco, pur con molte tensioni. La chiesa di Roma è silenziosamente uscita dalla piazza pubblica su tutti i temi “sensibili” e si concentra su quelli in comune con la cultura europea secolarizzata (migranti, giustizia sociale, ambiente). Vero è che ci sono frange cattoliche tradizionaliste che si oppongono all’auto-secolarizzazione della chiesa di Roma e che la vorrebbero più gagliarda nel rivendicare e riproporre l’eredità cristiana dell’Europa.

Nell’analisi di Roy, gli evangelici europei sembrano essere distratti o disinteressati a questi dibattiti. Interpretando una spiritualità “risvegliata” e avendo una componente significativa di non europei (latino americani, africani, ecc.), non prestano molta attenzione ai cambiamenti in corso. Questa tendenza si era già notata ai tempi della discussione sulle “radici cristiane” nella Costituzione europea a cui gli evangelicali, con qualche eccezione, non presero parte. Ogni tanto ambienti evangelici si svegliano quando una legislazione pro-gender viene introdotta o quando la presenza islamica diventa visibile. A quel punto, la voce evangelica si fa grossa, a tratti scomposta, invocando i “valori cristiani” dell’Europa, come i tradizionalisti cattolici fanno. E’ una risposta discutibile ad un problema vero. L’Europa non è stata veramente cristiana in passato e non lo è ora: il futuro non è un ritorno al passato o la conservazione dell’assetto attuale, ma la scoperta di un messaggio liberante – quello dell’evangelo di Gesù Cristo – che può essere “il sale e la luce” di questo continente. Non deve cambiare l’Europa soltanto: prima di tutto dobbiamo cambiare noi evangelici.


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