Moriremo marxisti? (I). La galassia neo-marxista

 
moriremo marxisti?
 

Un tempo non troppo remoto si sentiva sospirare: “moriremo democristiani”. Era un modo per dire che qualunque partito o ideologia o corrente culturale sembrasse prevalere nella società italiana, alla fine la vecchia, tentacolare, onnivora Democrazia Cristiana avrebbe prevalso. Tutto sarebbe cambiato affinché niente cambiasse. Ora, la DC è finita, anche se i democristiani sono vivi e vegeti, disseminati nei vari partiti alle varie latitudini parlamentari. In ogni caso, la generazione dei millennials fa forse fatica a capire cosa significa “moriremo democristiani”. Di contro, sembra che nella cultura si sia fatta strada un altro orizzonte che sembra ineluttabile: “moriremo marxisti”.

Ora, il comunismo è morto, ma il marxismo sembra godere di ottima salute. La caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica hanno decretato la morte del comunismo elevato a forma statale, anche se permangono Stati che si ispirano in qualche modo al comunismo (come Cuba) e poi c’è sempre la Cina comunista che è un universo politico-culturale a parte. In ogni caso, non c’è più come sistema incardinato in istituzioni statali. Se il comunismo è sepolto o quasi, le culture ispirate dal marxismo sono popolari e trendy, molto ben radicate nelle istituzioni universitarie (quindi nei processi educativi), tra le intellighenzie di mezzo mondo e nell’industria dell’intrattenimento a tutti i livelli. Dai giornali, ai film; dagli opinionisti ai social: è tutto un pullulare di vitalità intellettuale in qualche modo riconducibile al marxismo.

Certo, difficilmente si troverà qualcuno parlare espressamente di marxismo in questi termini crudi. Anzi, difficilmente sarà usata questa etichetta dura e pura. Eppure, quando si intersecano discorsi che fanno riferimento alla “teoria critica”, all’intersezionalismo, alla politica identitaria, alla teoria gender, all’essere “woke”, al razzismo sistemico, a variegate letture postmoderne, a tendenze “di sinistra”, ecc. si sta ruotando nella galassia ideologica che trova nel marxismo (o in qualche sua forma) una matrice comune. Come navigare questa galassia sterminata e sfaccettata senza perdersi?

Un punto di partenza è dato da un interessante saggio di Yannick Imbert, “Criticism and Legitimacy of Cultural Marxism: Implications for Christian Witness in the Postmodern World”, Unio Cum Christo. International Journal of Reformed Theology and Life vol. VII/1 (Aprile 2021) pp. 59-76. Imbert è professore di apologetica alla Faculté Jean Calvin di Aix-en-Provence e acuto osservatore del panorama culturale contemporaneo. In italiano, ad esempio, è stato pubblicato un suo saggio su “Il transumanesimo: una sfida antropologica per il XXI secolo”, Studi di teologia – Suppl. N. 14 (2016).

Il primo dato che si ricava dalla finestra aperta da Imbert è la complessità del compito di definire, classificare e quindi valutare il marxismo in tutte le sue epifanie attuali. Il fenomeno non è granitico, ma liquido, quindi sfuggente. I linguaggi sono mobili e non sempre definiti in modo rigoroso dagli stessi autori e dai loro critici. Le appropriazioni di pezzi di teoria marxista sono accompagnati da rivisitazioni e addizioni e trasformazioni tali da non rendere per nulla semplice la ricognizione del rapporto tra l’origine marxista e le risultanti post-marxiste.

Imbert mette bene in evidenza il carattere ansiogeno di molte letture del marxismo culturale da parte della cultura conservatrice, anche di provenienza religiosa ed evangelica (soprattutto nord-americana). Secondo questa prospettiva (Imbert cita Jordan Peterson come esempio), ci sarebbe una cospirazione volta a sovvertire l’ordine politico-culturale-simbolico dell’Occidente: una sorta di Great Reset marxista che abbatte le istituzioni della famiglia, delle religioni, del capitalismo. In realtà, niente è fatto in modo nascosto. La galassia neo-marxista è esplicita nel portare avanti il programma di decostruire l’assetto capitalista mediante il grimaldello del cambiamento culturale di massa. Ogni ideologia (capitalismo incluso) ha la sua agenda e non si deve ricorrere a ricostruzioni cospirazioniste per fare i conti con la portata del pensiero della sinistra postmoderna. Anche il cristianesimo ha il suo sogno: di portare l’evangelo alle estremità della terra facendo discepole le nazioni. Nel mondo plurale è da registrare il fatto che vi siano molteplici agende in contrasto tra loro. Ciò non deve stupire né far gridare “al lupo, al lupo” solo al marxismo.

Un’altra semplificazione da problematizzare è l’associazione tra marxismo culturale e postmodernità. Troppo spesso i due termini vengono considerati intercambiabili, ma non devono per forza esserlo. Imbert cita il caso del pensatore francese Michel Foucault. Era marxista? Sì e no. Si diceva debitore del secondo libro del Capitale di Marx (quello sulla genesi del capitalismo), ma anche sovvertitore di quella lettura in quanto alla forza dei conflitti economici come motore della storia contrapponeva le volontà di potenza come generatrice di cambiamento. Anche il ruolo dello Stato (massimizzato dai marxisti e spesso vilipeso dai postmoderni) è una differenza notevole. Vero è che molti autori postmoderni sono anche neo-marxisti, ma le due categorie vanno distinte. Questo per dire che non tutte le forme della cultura contemporanea sono direttamente figlie del marxismo.

Imbert sottolinea l’importanza della “cultura” per il neo-marxismo. Nel Novecento il pensiero marxista è passato da una “svolta culturale” operata da autori come Gramsci, Adorno, Horkhemer e Marcuse. È la cultura (in tutte le sue forme e istituzioni), e non l’economia, a essere considerata la mediazione tra le masse e la realtà. È la cultura che va colonizzata per creare le condizioni della rivoluzione. Il neo-marxismo più che alle fabbriche e agli operai, è interessato ai giornali, ai film, alla televisione, a internet, alla scuola, all’immaginazione. La cultura è il vero campo di battaglia.

Che dire? Si dovrebbe innanzi tutto prendere nota di questo: la cultura è centrale. Se non si produce cultura evangelica si finirà per consumare la cultura maggioritaria che oggi è impregnata di tratti neo-marxisti. Se non ci si impegna costruttivamente nella cultura in un’ottica di riforma evangelica, non basta puntare il dito contro chi la sta occupando con i suoi scopi rivoluzionari. Oltre a fornire le chiavi per la critica delle culture altrui, l’evangelo è ispiratore di una nuova cultura per tutta la vita. 

(continua)