Moriremo marxisti? (II). Il capitale: brevissime istruzioni per l’uso

 
moriremo marxisti
 

Dopo aver fatto riferimento alla galassia neo-marxista contemporanea, è tempo di provare a tracciare una sorta di genealogia di questo orientamento ideologico. In letteratura gli vengono attribuite diverse etichette come “marxismo culturale”, “marxismo libertario”, “marxismo esistenziale”, “marxismo occidentale”. Non è questa la sede per entrare in tutte queste distinzioni; basti ricordare che “marxismo culturale” indica bene l’enfasi sulla cultura che le varianti più significative del marxismo odierno propugnano. Per abbozzare una pur sommaria storia della cultura neo-marxista, è utile fare riferimento al saggio di Robert Smith, “Cultural Marxism: Imaginary Conspiracy or Revolutionary Reality?”, Themelios 44.3 (2019) pp. 436-465.

Centrali per ogni discorso sul marxismo culturale sono ovviamente la figura e il pensiero di Karl Marx (1818-1883), uno dei totem della cultura contemporanea e fonte ispiratrice di generazioni intere di studenti, lavoratrici, esponenti politici, intellettuali, ma anche di movimenti di liberazione e di tendenze culturali. Insieme a Friedrich Engels scrisse uno dei documenti simbolo dell’Ottocento: il Manifesto del partito comunista (Londra, 1848, due anni dopo la fondazione dell’Alleanza evangelica), anche se la sua opera principale rimane Il capitale (prima edizione: 1867).

In seguito alla rivoluzione industriale e all’affermazione del sistema capitalistico nell’Ottocento europeo, Marx si trova ad affrontare gli squilibri sociali determinati dalla ricchezza di pochi e dalla miseria di tanti. Il problema fondamentale per lui è riassunto nell’oppressione e nell’alienazione. L’oppressione è la risultante intrinseca del capitalismo che produce lo sfruttamento del proletariato (la classe lavoratrice) da parte della borghesia (proprietaria dei mezzi di produzione). L’alienazione è figlia dell’oppressione: il lavoratore è alienato dall’atto di produrre, dal prodotto stesso, dagli altri lavoratori e, infine, dall’umanità stessa. Il sistema è quindi caratterizzata da divisione-conflitto e dall’ingiustizia.

Per Marx la soluzione al problema sta nell’affermazione del comunismo (una società senza classi) che sarebbe arrivato in una combinazione derivante dal suo materialismo storico e dal suo determinismo economico. La transizione dal capitalismo al comunismo sarebbe avvenuta anche con la spinta della rivoluzione, cioè il ribaltamento violento del sistema capitalistico. Nella società comunista la proprietà, il lavoro e la ricchezza sarebbero stati comuni (cioè dello Stato), la proprietà privata abolita, la famiglia sradicata. Il cambiamento della proprietà dei mezzi di produzione (dalla borghesia al proletariato, dunque allo Stato) avrebbe portato una radicale trasformazione delle istituzioni della società. 

Questo schema marxiano ha ispirato movimenti rivoluzionari comunisti in Russia, Cina, Cambogia, Cuba, Congo, Corea del Nord, Venezuela, … e un’infinità di partiti politici e correnti di pensiero in Occidente. È stato il “principio speranza” (E. Bloch) che ha mobilitato intere generazioni e movimenti di opinione. Dove ha potuto attecchire (cioè dove si è compiuta la rivoluzione del proletariato), i risultati non sono stato secondo le aspettative. Invece dell’instaurazione di un sistema giusto, lo Stato comunista ha in genere abolito le libertà individuali e sociali insieme alla proprietà privata, instaurando quindi regimi totalitari e repressivi. Marx ha promesso la libertà dall’oppressione, ma quando la sua ideologia è stata messa in atto, essa ha prodotto la tirannia. Per questa ragione, un pensatore come Karl Popper, teorizzatore della “società aperta”, lo ha definito un “falso profeta”.

Da un punto di vista cristiano, in Marx si assiste all’elevazione “messianica” del proletariato, alla trasformazione della speranza cristiana in rivoluzione ideologico-politica, alla riduzione del peccato personale e sistemico alle distorsioni del sistema capitalistico soltanto, alla modificazione della lotta contro il male in conflitto tra classi permanente. Come sostiene Alain Probst, “il marxismo è orientato dal motivo di fondo del proletariato sofferente e trionfante, cioè da un motivo religioso originale che .. poneva al posto di Gesù Cristo il proletariato-salvatore”. Nel marxismo “ciò che costituisce la verità originaria è la posizione materialista alleata al motivo prometeico del proletariato sofferente e trionfante”. Si tratta di “un motivo religioso apostata. Da un punto di vista biblico ci si deve chiedere se sia possibile agli uomini essere liberati attraverso l’uso di una filosofia il cui presupposto è antiteista”[1]. Questi interrogativi rimangono validi e aperti.

Un’interessante dichiarazione evangelica dei primi anni Ottanta (“Dichiarazione di Dort su marxismo e cristianesimo”, 1981) aiuta a fissare un approccio cristiano responsabile al marxismo. Riconoscendo le “radici anticristiane” del marxismo ed il suo “fallimento” nel sostituire una forma di oppressione (quella capitalista) con la propria (quella comunista), il compito evangelico è “parlare in modo profetico in particolare a favore di coloro che sono poco difesi, circa i problemi della povertà, della ricchezza, dell’ingiustizia e dell’oppressione che incontriamo a livello locale, regionale e mondiale”[2]. L’oppressione e le ingiustizie devono interpellare la chiesa evangelica; il fatto che l’analisi di Marx sia stata sbagliata e la sua soluzione funesta, non significa farsi difensori di uno status quo dove la dignità umana è sfregiata e dove la giustizia è calpestata.

(continua)

 

[1] Alain Probst, “La scuola del marxi-cristianesimo”, Studi di teologia IV (1981) N. 8, pp. 143-152.

[2] In Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 1997, p. 174.