Parole del 2020. Smart working
C’era una volta il “telelavoro”, oggi si chiama “smart working”. Il 2020 ha dato un impulso inaspettato al lavoro da remoto, delocalizzato. La pandemia ha imposto l’accelerazione della diffusione dello smart working soprattutto nelle professioni che un tempo si chiamavano “terziarie” (quelli legate ai servizi). “Vado in ufficio” è diventato una metafora più che una descrizione fattuale. I cambiamenti introdotti dallo smart working sono di carattere epocale e non semplicemente cosmetici. Si tratta di un “altro” modo di lavorare che impatta settori quali la mobilità e i trasporti, l’urbanistica e il mercato immobiliare, gli interessi collegati alla rete 5G e il problemi del gap digitale, l’organizzazione del lavoro e le relazioni tra colleghi, la rendicontazione e la produttività del lavoro, la connettività digitale delle persone, gli orari personali e famigliari, le dinamiche sociali e urbane, l’abbigliamento e la moda, la ristorazione e l’alimentazione, ecc. I cambiamenti sono in corso e, dunque, non è ancora chiaro quali saranno gli sbocchi duraturi. Sappiamo che nel mondo del lavoro niente sarà più come prima, o quasi.
Smart working (lavoro intelligente, efficiente, accattivante, accessibile) non è una semplice descrizione del fenomeno, ma già un suo giudizio positivo. Sarà proprio così? Nel mare aperto dei cambiamenti, non si può pensare di voler tornare al porto di partenza né di assecondare semplicemente i movimenti delle onde. Occorre affrontare in modo responsabile e critico le transizioni.
Tra le mille considerazioni possibili, ce n’è una che forse nessun economista, sociologo del lavoro, giuslavorista, esperto di relazioni sindacali farà mai. Se è vero che il nostro lavoro è specchio del lavoro di Dio (come sostiene “Buon lavoro”, Studi di teologia – Supplemento N. 18 [2020]), c’è un senso in cui Dio lavora in smart working? Sappiamo che Dio Padre lavora in rete con Dio Figlio e con Dio Spirito Santo. La Trinità è l’unità lavorativa per eccellenza. La creazione dell’universo è un’opera collettiva. La provvidenza nella storia è un’opera trinitaria. La redenzione del mondo è anch’essa voluta dal Padre, eseguita dal Figlio, applicata dallo Spirito Santo come risultato del decreto di Dio uno e trino. Nella pericoresi (=reciproca inabitazione) tra le Persone e nell’economia dell’azione divina, l’opera di Dio è sempre fatta in relazione, mai in autarchica autonomia o in distanziato isolamento.
Anche nella distinzione tra le Persone e nella differenziazione delle responsabilità, Dio uno e trino lavora insieme nella comunione delle Persone. Se il nostro smart working mantiene un grado accettabile di relazione tra i collaboratori, non c’è ragione per cui non debba essere benvenuto. Sia di presenza fisica sia in altro collegamento relazionale, il lavoro può essere svolto in modo dignitoso anche a distanza tra i creatori-esecutori-amministratori. Al contrario, se lo smart working crea isole incomunicanti, pratiche de-responsabilizzanti, ritmi alienanti, diventa una modalità idolatrica del lavoro. Non imita il lavoro divino, semmai quello diabolico.
Inoltre, non tutta l’opera divina avviene in relazioni fisicamente impalpabili. Con l’incarnazione, infatti, il Figlio di Dio è diventato uomo nella persona di Gesù Cristo. Per salvare i peccatori, il Figlio non ha potuto né voluto farlo in smart working. Ha dovuto prendere il corpo di un essere umano e diventare come noi, tra di noi, con noi. Non operando da remoto e nemmeno in modalità delocalizzata, Gesù è stato “vero uomo e vero Dio” (come dice il Concilio di Nicea), uomo tra uomini. Atanasio e la migliore patristica hanno insistito sul fatto che se il Figlio di Dio non avesse assunto l’umanità di una persona, non avrebbe potuto salvare nessuno.
La fisicità e la corporalità dell’opera della redenzione sono al cuore del messaggio dell’evangelo. Mentre confermano la bontà della creazione divina e anticipano il rinnovamento finale di tutto l’universo, attestano la realtà concreta della salvezza. Ciò vuol dire che il lavoro umano, potendo ricorrere a forme diversificate di relazione (tra cui la modalità remota), non potrà mai fare a meno di “relazioni corte” (P. Ricoeur) tra le persone: quelle relazioni che avvengono in modalità incarnata, fisicamente prossima, corporalmente contigua. Lo smart working sarà allora una possibilità di lavoro umanamente onorevole se non sarà l’unica.