Partecipare a “nozze” omosessuali? Un problema di etica cristiana
“Un invito a nozze”, si sarebbe detto una volta per parlare di qualcosa di particolarmente gradito. Oggi “un invito a nozze” può essere uno spinoso problema di etica cristiana data la probabilità, in crescita, di trovarsi a ricevere un invito a nozze omosessuali. Come rispondere? Non è un problema semplice: nel mondo evangelico USA il dibattito si è recentemente acceso.
A far discutere parecchio è stata la posizione di Alistair Begg, pastore della Parkside Church in Chagrin Falls in Ohio e conduttore del programma radiofonico Truth for Life. Di Begg ci sono alcuni libri in italiano. Nonostante le sue posizioni evangelicamente ortodosse sulla concezione del matrimonio omosessuale (quindi contrarie ad esso), in un’intervista andata virale sui social, Begg ha condiviso di aver suggerito ad una nonna di non mancare al “matrimonio” di sua nipote con una persona transessuale per non generare distanza e per non offendere la coppia.
Begg non solo ha difeso la sua posizione, che ha generato non poche polemiche, ma l’ha ribadita in un sermone successivo all’innesco della diatriba. Nonostante gli sia già costata la sospensione del programma dall’American Family Radio e dall’importante Shepherds Conference come oratore, Begg non accenna a fare passi indietro, ma si dichiara pronto “a stare dalla parte della compassione”.
Dal suo punto di vista, il problema ha a che fare con la misericordia, la grazia e la compassione che il Vangelo insegna. Siamo chiamati ad amare i nemici e a testimoniare la compassione di Cristo più che il legalismo dei farisei. Quindi, nonostante non approvi i matrimoni omosessuali e sia fermo sulla posizione biblica del matrimonio tra uomo e donna, al centro della sua riflessione ci sono i sentimenti e la sensibilità degli attori in causa.
A guardare alla questione da un piano diverso è lo storico Carl Trueman che, in un recente articolo pubblicato su First Things, ha spiegato perché i cristiani non dovrebbero partecipare a matrimoni omosessuali. Nonostante Trueman non neghi le difficoltà di destreggiarsi in situazioni della vita reali così complesse, propone di spostare l’oggetto della riflessione. Una nonna che offende sua nipote è una situazione spiacevole. I sentimenti di entrambe le parti sono feriti e nessuno nega che si tratti di una posizione sgradevole in cui trovarsi. Detto questo, l’offesa e i sentimenti feriti sono da ritenersi una categoria morale alla quale sottoporre ogni altra considerazione? Per Trueman no. Se così accade si cade in una situazione di compromesso della chiesa con lo spirito del tempo in cui l’IO individuale è elevato ad assoluto morale.
Secondo Trueman le categorie morali di giusto e sbagliato vengono prima di quelle estetiche di gusto e queste ultime dovrebbero essere sempre essere subordinate alle prime nell’ambito dell’etica cristiana. Inoltre, l’ordine creazionale che ben definisce le questioni del genere, della distinzione tra sessi, della complementarità tra l’uomo e la donna e la funzione e natura del matrimonio, in una celebrazione omosessuale viene completamente sovvertito e rinnegato. Possono i cristiani unirsi alla celebrazione di un tale rinnegamento? Inoltre, l’analogia biblica del matrimonio come il rapporto tra Cristo e la sua chiesa porta a ritenere ogni forma di matrimonio, che in realtà ne neghi la natura, come una forma di blasfemia.
Per Trueman il problema si presenta se il matrimonio viene appiattito al semplice rapporto romantico tra due individui, senza più considerarlo un’unione modellata secondo l’unione di Cristo con la sua chiesa che è la sua sposa. Partecipare alla celebrazione di un’unione omosessuale vuol dire sorvolare su questi aspetti e di fatto benedirla implicitamente se non esplicitamente.
Mentre la Chiesa Cattolica ha ufficialmente aperto alla benedizione non solo di persone ma anche di unioni omosessuali, quello che si sta verificando nel mondo evangelico USA è un test che rischia di far imboccare la stessa strada. In nome della misericordia, tutto il resto dell’insegnamento biblico riguardante la sessualità, il matrimonio, il peccato, la non partecipazione alle opere delle tenebre, ecc. viene dopo. Sbilanciare tutta la discussione sull’importanza dei sentimenti dei soggetti, crea uno squilibrio che genera un prezzo alto da pagare per l’integrità della testimonianza cristiana.
Nessuno nega l’esistenza di un campo di tensione e la difficoltà delle decisioni da prendere. Il punto è: è giusto permettere che la sacerdotalità (prossimità, vicinanza, comprensione, ecc.) sovrasti la regalità (l’ordine di Dio, la volontà di Dio) e la profezia (l’annuncio di tutto il consiglio di Dio, quindi anche la denuncia del peccato)? Non dovrebbe l’etica cristiana tenere insieme le tre responsabilità piuttosto che elevarne una a scapito delle altre?
Un’ultima noticina: il tono del dibattito sui social sta assumendo tratti di un tale virulenza da porre il quesito: ma possibile che facciamo fatica a parlare, anche dissentire e criticare, senza trasformare anche questa discussione in una (ulteriore) arena impazzita dove volano stracci?