Promette il “triplete” e dà “zero tituli”. E non è Mourinho

 
zero tituli
 

È bastato l’annuncio dell’ingaggio di Mourinho come nuovo allenatore della Roma per portare una ventata di entusiasmo ad una città tendenzialmente cinica e scettica, mugugnante e lamentosa, famosa per il suo passato ma non pervenuta quanto a visione di futuro. Ancora una volta il calcio ha fatto scatenare passioni popolari che né la politica, né la musica, men che meno la religione, riescono più a suscitare. In rete è tutto un susseguirsi di slanci, proclami, speranze e sogni che vengono associati all’arrivo dell’allenatore portoghese sulla sponda romanista della Città eterna.   

Mourinho è famoso per molte cose. Carattere sanguigno, lingua senza troppi peli, ambizioso e molto ben pagato, è una delle icone del calcio contemporaneo. Tra le altre cose, è conosciuto per due espressioni: “triplete” e “zero tituli”. Vinse tre trofei importanti quando era allenatore dell’Inter (2010), dunque un “triplete”. L’anno prima divenne celebre la sua intervista in cui diceva che non bastava avere buoni giocatori per vincere: ad esempio, proprio parlando della Roma, disse che la squadra pur disponendo di fuoriclasse aveva vinto “zero tituli”. Mentre i tifosi romanisti sognano un “triplete”, devono anche guardarsi dal rischio di rimanere con l’amaro in bocca con “zero tituli”. Infatti, la carriera di Mourinho è stata fatta anche di esoneri, sconfitte e grandi delusioni per le squadre da lui allenate.

Al di là di Mourinho, il sogno del successo e la realtà del fallimento descrivono la dinamica innescata dagli idoli. Nel suo libro Idoli e inganni, Torino, La Casa della Bibbia 2016, Tim Keller propone un’interpretazione della cultura come di una fabbrica di idoli contraffatti. Nella Bibbia l’idolo è tutto ciò che si presenta come dio (che attira a sé devozione e culto) ma che non è in grado di attuare quello che promette. Il cuore dell’uomo è un’industria idolatrica che è in grado di idolatrare qualsiasi cosa elevandola ad assoluto: “ogni cosa nella vita può diventare un idolo, un’alternativa a Dio, un dio contraffatto” (p. xvi).  

L’idolatria è un costrutto spirituale che ha dimensioni intellettuali, psicologiche e culturali. Esistono idoli personali (amore, famiglia, soldi, potere, carriera, ...), culturali (potenza militare, progresso tecnologico, prosperità economica, …), intellettuali (ideologie varie). Anche lo sport, la squadra del cuore, il campione del momento, possono diventare idoli totalizzanti.

Una delle fregature degli idoli è di promettere e non mantenere. Promettono benessere, soddisfazione, prestigio, successo, ecc. e, al contrario, la loro performance è scadente: lasciano insoddisfatte le attese con in più un carico di delusioni devastanti. Promettono “triplete” esaltanti, ma lasciano “zero tituli” avvilenti. Se uno basa la propria vita sulle aspettative di “triplete” offerte dagli idoli, prima o poi dovrà fare i conti con la delusione di “zero tituli”.

Gli idoli richiedono amore, fiducia ed ubbidienza e producono frustrazione, rottura e confusione, ma l’evangelo di Gesù Cristo offre un’opportunità di disincanto e di riscatto. Lui non è un idolo qualunque. Gesù è l’unico “Special One” che non solo ha promesso, ma ha realizzato il “triplete” cosmico, storico e personale: riconciliare al Padre il mondo caduto nel peccato e salvare per la potenza della Spirito Santo chi crede in Lui. Senza Gesù, uno potrà dedicare la vita agli idoli a piacimento, ma il risultato sarà sempre lo stesso: “zero tituli”. Con il “triplete” realizzato da Gesù Cristo, per fede si farà parte della squadra che ha un solo “campione” (Gesù stesso) mentre tutti noi siamo giocatori raccolti da squadre diverse per far parte di quella vincente per i meriti sportivi del nostro Capitano-Allenatore.  

Mentre i romanisti sono entusiasti per l’arrivo di Mourinho non sapendo se i loro sogni di vittoria saranno realizzati, la chiesa del Signore dovrebbe essere fiera di essere agli ordini di un Signore e Salvatore che non ha mai deluso nessuno e nel cui palmares c’è l’unico “triplete” che vale. Lui dice “fatevi coraggio, io ho vinto il mondo” (Giovanni 16,33).