Speranza dove sei? Teologi evangelici europei a convegno
La speranza è una delle più belle parole del cristianesimo. Ma dov’è? Cos’è? Chi è? Queste domande sono sempre attuali, ma lo sono in modo particolare oggi. Dopo una pandemia che ha seminato incertezze e morti, nel mezzo di una guerra nel cuore dell’Europa, nel vortice di una crisi strutturale dell’occidente, dire “speranza” può essere un esercizio retorico vuoto. Cosa può dire la teologia evangelica sulla speranza?
Dal 26 al 30 agosto si è tenuta le biennale conferenza della FEET (Fellowship of European Evangelical Theologians) a Praga. Costituita nel 1976 con l’importante contributo di John Stott e a seguito del Congresso di Losanna del 1974, la FEET raccoglie oggi un centinaio di associati da tutta Europa: teologi, docenti in istituti biblici, cultori delle discipline teologiche. La partecipazione anche del presidente dell’Alleanza Evangelica Europea e del coordinatore della commissione teologica AEE ha mostrato la realtà delle “reti” evangeliche europee. I teologi e le teologhe non vivono in modo avulso rispetto alla realtà dell’evangelicalismo dei loro Paesi che l’Alleanza evangelica rappresenta. La FEET è nata su impulso del congresso di Losanna ed è parte integrante della rete dell’Alleanza evangelica. Così dovrebbero funzionare le associazioni evangeliche di qualunque tipo e forma siano: in rete tra loro e tutte parte di un organismo rappresentativo come l’Alleanza.
In un comunicato stampa (in inglese) è stato riassunto il percorso del convegno che aveva come tema “Speranza per il mondo: l’escatologia come fonte di vita per la missione della chiesa”. Un rischio presente nella coscienza evangelica contemporanea è di declinare la speranza in termini futuristici ed individualistici. Questa riduzione non tiene conto del carattere già inaugurato dell’eschaton. Il regno di Dio, che porta speranza, è già in mezzo a noi. Dunque c’è speranza già oggi, anche se non ancora pienamente fruibile. Occorre sapere declinare le “primizie” della speranza in modo ecclesialmente e culturalmente appropriato. Siamo gente di speranza? Siamo chiese che alimentano la speranza? Siamo teologi che insegnano la speranza?
L’altro rischio della speranza evangelica è di concentrarsi in modo ossessivo sull’individuo. Certamente, la speranza è personale per i credenti in Gesù Cristo: noi siamo e saremo in Cristo e con Cristo. Eppure la Scrittura declina la speranza come un’attesa di tutto il creato. Il regno di Dio non è solo costituito da donne e uomini, ma da tutta la creazione che sarà rinnovata. La speranza è quindi un orizzonte che abbraccia l’intera realtà. Come farsi interpreti e attori di tale ampiezza? Come respirare la speranza cristiana che ci invita ad aprire le finestre sul mondo piuttosto che a tesorizzarla per le nostre persone soltanto?
Le varie relazioni al convegno della FEET hanno dato voce ad una maggiormente assimilata visione “olistica” dell’escatologia evangelica, superando le restrizioni individualiste e futuriste che hanno caratterizzato l’ultimo secolo e mezzo. Questo è un dato incoraggiante, così come è degno di nota la presenza di molti giovani teologi, di un rinnovamento generazionale in corso.
In conversazione con l’AEE, la FEET ha concordato di tenere una conferenza congiunta nel 2024 (fine agosto) sull’identità evangelica nell’Europa contemporanea. Quello dell’identità è un tema trasversale che riemerge periodicamente e anche oggi sembra essere tornato in auge. E’ interessante vedere una forma di cooperazione tra organismi evangelici su un tema di interesse comune. A 50 anni dalla fondazione della FEET e del congresso di Losanna, la domanda si ripresenta: nel mondo di oggi, cos’è la fede evangelica? Per rispondere c’è bisogno anche dell’apporto dei teologi evangelici europei.