Strano mondo il nostro (IV). L’identità è sessualizzata e il sesso è politico
Uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano la società contemporanea è il ruolo centrale e pervasivo che il sesso occupa in essa. Come è possibile che l’atto più intimo e privato che si svolge tra due persone abbia così peso nella vita pubblica? Una risposta semplice secondo Carl Trueman nel suo libro Strange New World. How Thinkers and Activists Redefined Identity and Sparked the Sexual Revolution (2022) potrebbe essere che nell’ultimo secolo il desiderio sessuale si è affermato come una categoria primaria per definire l’identità di una persona. Il sesso è passato da essere qualcosa che gli esseri umani fanno a qualcosa che gli esseri umani sono.
Se c’è una figura da cui partire per capire questa trasformazione, essa è sicuramente quella di Sigmund Freud. Nonostante oggigiorno molte delle sue teorie psicanalitiche siano state screditate, la sua eredità resta intatta nell’idea che il sesso sia fondamentale per la felicità umana e in molti aspetti della sua comprensione della civilizzazione.
Dopo che Marx e Nietzsche hanno contribuito a far collassare l’idea che la natura umana possegga una struttura morale intrinseca, la questione della felicità diventa un argomento di seria ricerca filosofica. Per Freud, la ricerca del piacere e l’elusione del dolore sono la chiave per descrivere la felicità. Ma se la più alta forma di piacere deriva dall’appagamento sessuale, ne consegue che per Freud la natura umana al suo livello più profondo è definita dal desiderio sessuale. Da qui non è difficile comprendere lo scivolamento verso l’idea che una vita appagata risieda in una vita sessuale appagante.
In questo contesto, per Freud, la moralità è semplicemente un’infrastruttura per permettere a uomini e donne di vivere insieme in un sistema sociale civilizzato. Il desiderio sessuale in qualche modo va frenato per permettere la convivenza e la religione diventa la scusa per la sussistenza di codici morali necessari alla società. Così, in questa lettura anche l’arte, la musica lo sport, la religione stessa, e così via... diventano attività utili a reindirizzare le pulsioni sessuali in campi che diano soddisfazione e che permettano l’esistenza di una civiltà sicura e stabile.
Nella genealogia del pensiero, è a questo punto che il sesso diventa politicizzato. Oggigiorno sembra ovvio che la politica sia chiamata in causa ad occuparsi dei codici sessuali e a riformularne le regole socialmente accettabili. Questo dipende dal fatto che le regole che governano il comportamento sessuale sono ritenute necessarie in quanto il campo si è esteso non solo ai meri comportamenti, ma alla legittimazione o meno delle identità.
Questa politicizzazione del sesso comincia intorno agli anni ’30 del Novecento, in un’Europa dilaniata dalla Prima guerra mondiale e colma di crepe che la porteranno verso la seconda, dove il marxismo, ormai mutato in molte forme, incontra le teorie di Freud.
A tenere insieme i due pensatori in modo strutturato, ci fu Wilhelm Reich, un giovane psicanalista che fu cacciato dal circolo di Freud a Vienna proprio perché le sue idee furono ritenute estreme. Fu freudiano in quanto riteneva che i codici morali erano usati per frenare le pulsioni sessuali e fu marxista in quanto sosteneva che non era la semplice convivenza civile ad essere tutelata dalla morale, ma anche la famiglia borghese appartenente alla classe media tipica della cultura capitalista. La rivoluzione, tipica del pensiero marxista, doveva quindi includere lo smantellamento dei codici sessuali capitalisti per permettere agli individui, sin da giovani, di sperimentare la propria libertà sessuale. Ma se la classe media continua a reiterare i vecchi modelli, chi si prenderà l'incarico di liberare i giovani da tali oppressioni? È qui che lo Stato diventa il principale protagonista prendendo un ruolo attivo nel promuovere la libertà sessuale.
Vivendo nella cultura occidentale contemporanea potremmo considerare le teorie di Reich profetiche ed anzi, ampliate dalla rivoluzione sessuale partita dagli anni ’60. Con i movimenti studenteschi e femministi partiti negli anni ’60, si è arrivati non tanto a mettere in discussione il contenuto di alcuni codici sessuali, ma alla sussistenza degli stessi. L’idea che alcuni concetti legati alla morale sessuale esistano è diventata offensiva e considerata oppressiva per l’autenticità individuale. Non si tratta più di trasgredire i codici esistenti, ma di smantellarli.
Ovviamente queste idee presentano contraddizioni al loro interno come, ad esempio, l’idea che età e consenso siano gli unici limiti da non valicare. Può sembrare ovvio che un adulto non possa esercitare la propria libertà sessuale verso dei minorenni o verso chi oppone un rifiuto, ma se ogni regola morale è saltata, non sono anche queste limitazioni arbitrarie e repressive?
La politica, quindi, in questa nuova realtà ha il compito di regolare queste questioni e di lanciarsi nel regno della psicologia. L’oppressione, infatti, non è più intesa solo come privazione materiale o della libertà fisica, ma ha una sua componente psicologica. L’identità è psicologizzata e tutto quello che può avere un impatto negativo sull’identità psicologica di una persona viene considerato profondamente dannoso. La società, quindi, dovrebbe sanzionare qualsiasi idea che includa dubbi o negazione della legittimità di queste identità; ecco che le implicazioni per la libertà religiosa e di parola diventano serie e pericolose.
(continua)
Della stessa serie:
“Strano mondo il nostro (I). Un vocabolario vecchio e nuovo”
“Strano mondo il nostro (II). Tutt’un’idea romantica”
“Strano mondo il nostro (III). La morale è morta”