Strano mondo il nostro (VI). E la risposta della chiesa?
In un mondo fluido anche le identità personali sono sempre più sganciate da riferimenti esterni e diventano materie plastiche che assumono forme che si costruiscono e ricostruiscono continuamente senza alcuna stabilità. In questo contesto la forma più estrema della rivoluzione sessuale, il transgenderismo, non solo è un’opzione plausibile, ma anche del tutto ovvia e in questo contesto la chiesa deve prendere risoluzioni integrali.
Nel percorso fatto da Carl Trueman nel suo libro Strange New World. How Thinkers and Activists Redefined Identity and Sparked the Sexual Revolution (2022), è stata tracciata la storia del pensiero che ha portato le identità individuali ad essere plasmate dai sentimenti interiori, a credere che si è veramente se stessi solo quando si esprime la propria individualità e mettendo al centro il desiderio sessuale come fonte dell’appagamento individuale. Arrivati ai giorni nostri, è evidente che chi si è, è diverso sa cosa si è.
Restando però intatta la necessità degli individui di costruire il proprio io anche attraverso le interazioni sociali e le comunità di appartenenza, si stanno creando nuove forme di comunità con caratteristiche diverse da quelle tradizionali. Questo spiega anche il “successo” che il movimento LGBQT+ sta avendo. E’ l’offerta di una comunità che offre identificazione e sicurezza.
Le élite culturali che nutrono questo movimento stanno creando una narrazione per cui la marginalizzazione e la vittimizzazione non sono viste semplicemente come un male da evitare, ma come la necessità di dare ai marginalizzati o vittime uno status morale per il quale non ci si può minimamente opporre alle loro varie cause. E così l’omofobia, transfobia e via dicendo diventano scuse per mettere anche in pericolo la libertà di parola di chi la pensa diversamente. Amare il peccatore ed odiare il peccato (che è quello che la chiesa fin qui ha ripetuto) non regge più se il peccato diventa l’identità in cui si riconosce il peccatore. Da qui derivano le accuse di intolleranza, omofobia, transfobia, bigottismo e pericolosità sociale per gli evangelici.
Nonostante l’attuale importanza del movimento LGBTQ+ nel discorso pubblico e la sua indiscutibile vittoria nel portare l’individualismo espressivo sessualizzato ad essere l’entità imperante nella nostra cultura, per Trueman, il movimento stesso contiene delle falle. Infatti, secondo l’autore le L, G e B (lesbiche, gay, bisessuali), possono difficilmente convivere con la T e la Q (transgenderismo, queer). Mentre i primi, per loro natura ammettono l’esistenza del binarismo di genere, gli ultimi due ritengono che il sesso biologico e il binarismo di genere siano concetti passati e del tutto inutili come categorie per la definizione degli individui.
Con queste premesse, è ovvio che la tendenza e la prospettiva futura si sta spostando verso un completo annullamento dell’idea di genere e sesso biologico. Con questo scollamento, l’etica biblica non solo troverà chiusure, ma addirittura incomprensione e inconciliabilità con la prospettiva dominante. Quindi come dovrebbe reagire la chiesa evangelica? Cadere nella disperazione e vivere come stranieri in un mondo che non comprendiamo non è sicuramente l’opzione biblicamente plausibile.
Prima di tutto, ancor prima di pensare a come opporsi alle narrative dominanti, individualmente e come chiese dovremmo fare un passo indietro e chiederci se e in che modo ci siamo compromessi con lo spirito del tempo. Se la vita di chiesa è vissuta come un modo per nutrire la felicità del nostro io interiore, se cambiamo chiesa finché il nostro individualismo non è appagato, finché continuiamo a lodare innalzando canti che semplicemente fanno leva sulle emozioni del momento, se la comunione è ricercata solo con chi rispecchia la nostra personalità, allora non solo ci siamo compromessi con lo spirito del tempo, ma stiamo danneggiando la testimonianza della chiesa e questo richiede che il primo passo da fare sia pentirsi, ricercare la grazia di Dio e lavorare per riformare credenze, atteggiamenti e attitudini. Il prendere coscienza della nostra compromissione in questo sistema, poi, dovrebbe portare all’umiltà di affrontare con grazia coloro che sono in disaccordo con la visione del mondo biblica.
Il secondo suggerimento per affrontare questa nuova era è quello di imparare dalla chiesa antica. È vero che la chiesa del secondo secolo si confrontava con un mondo pagano che non aveva conosciuto Cristo e noi dobbiamo confrontarci con un mondo cosiddetto post-cristiano che rende i nostri interlocutori più consapevoli e intenzionali nell’accusare il cristianesimo, ma c’è sicuramente bisogno di fare tesoro di alcune esperienze. La chiesa degli Atti, così come la chiesa descritta dalla Didachè, tenevano in grandissima considerazione la comunione e la condivisione quotidiana. Come abbiamo detto, l’essere umano è in parte condizionato dalle relazioni che instaura e dalle comunità a cui appartiene. Se ci limitiamo a considerare cristianesimo la frequentazione di qualche culto la domenica è evidente che questo non formerà cristiani la cui vita è plasmata dal vangelo e capace di impattare gli ambienti circostanti. Prima di protestare contro la cultura, infatti, c’è bisogno di costruire una visione del mondo biblica e una cultura evangelica forte che permetta la testimonianza anche in ambienti ostili.
Altro aspetto che la chiesa deve tenere in considerazione è quello di impegnarsi nell’insegnamento dell’intero consiglio di Dio. Insegnare per negazione, cioè sottolineando quello che nella cultura non va e cosa sia sbagliato, non forma cristiani consapevoli, né garantisce una testimonianza efficace. La chiesa ha il dovere di nutrire i credenti con le verità del vangelo in modo completo e totale affermando quali sono i piani di Dio anche per la sessualità ed il matrimonio, più che limitarsi ad opporsi agli altri.
La chiesa ha anche bisogno di recuperare la teologia del corpo in maniera integrale. Tralasciando ogni tentazione dualistica di relegare al corpo e alla legge naturale una parte secondaria, c’è il bisogno di proclamare esplicitamente che la creazione dei corpi ha un valore etico e che il creato non ha un ruolo inferiore al mondo interiore.
Infine, la chiesa deve confrontarsi con questi tempi evitando sia la disperazione che l’ottimismo. Arrendersi al senso di impotenza o affrontando in modo ingenuo la cultura contemporanea portano entrambi all’immobilismo e all’arresto della testimonianza. La speranza cristiana sa essere realista. Sa di vivere tra il già e il non ancora e che non vi è nessuna assicurazione che la vita cristiana sarà senza difficoltà, sofferenze e senso di smarrimento, ma sa anche che la vittoria finale è già assicurata in Cristo e che anche i tempi peggiori non sono senza significato. Ogni cosa trova senso nella vita, morte, resurrezione, ascensione e ritorno del Signore Gesù Cristo. Se vogliamo affrontare questi tempi per certi versi incomprensibili, non è più l’ora di vivere la vita cristiana con superficialità. Questi sono tempi per formarsi ed essere preparati a rendere conto di quello che crediamo e perché lo crediamo diventando discepoli e pellegrini impegnati. Lamentarsi della dissolutezza del mondo non è un’opzione a meno che il lamento non sia la cornice entro cui ci sforziamo di formare le nostre identità come parte del popolo di Dio e mentre aneliamo al ritorno di Cristo.