Aboliamo il lavoro! La sfida della decrescita e i suoi problemi
Decrescita è un movimento socio-politico che promuove un cambiamento radicale nel modo di vivere e di organizzare l’economia.
Esso ha l’obiettivo di ridurre la produzione e il consumo di beni e servizi superflui, ridistribuire la ricchezza e promuovere la solidarietà tra le persone e con il pianeta. Uno dei principali sostenitori della decrescita è Serge Latouche, autore tra gli altri del volumetto Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto, Torino, Bollati Boringhieri, 2023.
A proposito del lavoro, ecco come Latouche presenta la decrescita: “Ci sono due modi di pensare all’abolizione del lavoro: la prima è la sua scomparsa mitica grazia all’effetto del progresso tecnologico (automazione/robotizzazione) all’interno della società capitalistica avanzata, la seconda è la scomparsa della sua specificità servile con la fuoriuscita dal mondo dell’economia”.
E’ questa seconda opzione che lui esplora e caldeggia. A monte del movimento della decrescita sta la critica al modello delle società occidentali avanzate secondo cui lavorare meno e guadagnare di più, lavorare tutti e in modo piacevole o addirittura non lavorare più grazie alla tecnologia è possibile.
In realtà, queste aspettative sono largamente disattese e, semmai, sono limitate ad un’élite di privilegiati. Per Latouche, l’alternativa alla disfatta della società lavoristica è triplice.
Primo. La rilocalizzazione, intesa come una attività di “rivitalizzare il locale” e quindi come spinta “all’auto-produzione” (p.25). Nella rilocalizzazione è compresa anche l’autoproduzione di energia elettrica, visto che le energie rinnovabili si adattano naturalmente a un contesto locale.
Per stimolare l’autonomia economica locale, l’idea di rilocalizzazione richiede anche “una certa autosufficienza alimentare, in primo luogo, poi quella economica e finanziaria” (p.27).
Secondo. La riconversione delle attività nocive per l’ambiente; ad esempio, l’abolizione del nucleare e dei combustibili fossili, sostituiti completamente da energie rinnovabili.
Ancora, per Latouche, “bisognerà battersi contro le produzioni parassitarie (come la pubblicità) o nocive (come quella degli armamenti), di cui si dovrà tentare di liberarsi progressivamente” (p.35).
Terzo. La riduzione del tempo di lavoro, parziale o totale, occupa un posto strategico nel programma della decrescita. Contro la concorrenza spietata del mercato, l’idea di Latouche è quella di lavorare meno per lavorare tutti.
Una riduzione dell’orario di lavoro “deve essere sostanziale e accompagnata da tutti gli altri cambiamenti materiali e mentali prospettati dalla decrescita” (p.37). Il lavoro per la decrescita deve essere abolito perché non è vissuto con tempi e ritmi sostenibili.
Il desiderio è quello di umanizzare sempre di più il lavoro, questa volta però imboccando una strada davvero estrema: quella di uscire della logica economica e quindi consumistica propria del mondo occidentale, caratterizzato per Latouche da sfruttamento, disparità, ingiustizie. Per uscire dalle sperequazioni del lavoro, è necessario “abbandonare la logica produttivista per risolvere contemporaneamente la questione ecologica e la questione sociale” (p.40).
Per Latouche. “la fine del lavoro, totale o parziale, significa anche una trasformazione del modo di attribuzione dei redditi” (p.79). Infatti, tutto il sistema della decrescita si reggerebbe con un reddito universale necessario a non perdere drasticamente ogni fonte di sostentamento.
A questo seguirebbe un forte programma di protezione sociale, cioè assistenza statale come sussidi, redditi, sostegni vari. Non è più il mercato a regolare, ma lo Stato.
Tutto il movimento della decrescita ha una forte carica ideologica ed è basato sulla critica dell’inevitabilità e della positività della crescita a tutti i costi.
Mette in discussione l’assunto capitalista che bisogna sempre crescere, sempre arricchirsi, sempre fare di più. In questa critica contiene un elemento interessante. In effetti, la crescita può diventare un idolo se è un assoluto a cui tutto il resto deve piegarsi.
Se la crescita del fatturato va a scapito del benessere delle persone, della cura del creato, della sostenibilità dei ritmi di vita, ecc., è chiaro che siamo in presenza di un idolo a cui tutto viene sacrificato.
Se la parte destruens della decrescita offre stimoli a ripensare il sistema capitalistico e a non considerarlo intoccabile e nemmeno scontato, quella construens sembra rimpiazzare un idolo con un altro. L’idolo del mercato viene rimpiazzato con quello dello Stato.
Il troppo lavoro viene sostituito con in non lavoro. La spinta alla crescita viene invertita in una spinta alla decrescita. Da un idolo si passa ad un altro e la soluzione prospettata non è migliore del problema che si vuole risolvere.
La visione biblica del mondo ha una storia diversa e suggerisce una prospettiva migliore. Ogni lavoro legittimo, salariato o volontario che sia, ha una sua dignità propria. Lasciato alla libertà individuale e senza alcuna responsabilità e rendicontazione dirette, rischia di essere un volano per una cultura oziosa e assistenzialista.
Lasciato alle sole logiche della “crescita” capitalista, produce distorsioni ed ingiustizie sistemiche. Se l’Occidente e il libero mercato hanno fatto del lavoro un’attività insostenibile e generatrice di sperequazioni, la decrescita economia lo rende un’appendice della vita da svolgere quando si vuole, come si vuole, alle condizioni che si vuole, rischiando di perdere di vista l’utilità sociale del lavoro e il suo compito formativo.
Molto meglio sembra recuperare il ritmo biblico di lavoro e riposo, dentro comunità di lavoro responsabilizzanti verso gli altri e l’ambiente, in cui il “crescere e moltiplicarsi” è compensato dal “riposo” e dalla celebrazione del lavoro svolto. Questo non richiede una decrescita, ma una riforma della cultura.