L'adozione non è un tappabuchi per individui irrisolti
Pare che in Italia la richiesta di adozioni internazionali non conosca recessione. Secondo il report annuale della CAI (Commissione adozioni internazionali), le coppie che hanno dato mandato a un ente autorizzato e sono già state destinate verso un Paese specifico sono 1.880. Difficile dire se questi genitori riusciranno a concludere il percorso adottivo entro il 2025.
Comunque sia, nel cosiddetto "inverno demografico" italiano, è ammirevole che, nonostante il grosso sforzo economico (i dati dicono che oggi si spendono dai 20 ai 40mila euro), e il complesso iter burocratico, ci siano coppie che fanno queste scelte molto impegnative.
Invece di facilitare questa "corsa ad ostacoli", da tempo sollecitato da tutti gli enti del settore, lo Stato italiano ha aperto la possibilità alle persone single di adottare. Recentemente la Corte costituzionale ha dichiarato che l’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, che vietava le persone singole di adottare un minore straniero residente all’estero, è illegittimo.
Qual è il ragionamento della Corte? L'adozione serve a soddisfare due interessi: quello dei minori che non hanno una famiglia e l'interesse degli adulti a essere genitori. Per cui, restringere l'adozione solo a coppie sposate da almeno tre anni lede sia l'interesse dei minori ad avere cure familiari, dato che rende più difficili le adozioni, sia quello degli adulti a vivere la propria vita privata nelle molteplici forme possibili, senza che Stati o altre autorità si immischino. Se da un lato lo Stato non deve "immischiarsi", dall'altro ha il dovere di assicurare a tutti una famiglia.
L'idea di una famiglia formata da due persone sposate di sesso diverso è considerata una realtà obsoleta non a passo con i tempi. Infatti, questa sentenza si lega ad altre (nel 2022 e nel 2023), con le quali la Corte ha stabilito procedure di adozione più aperte, che riconoscono relazioni affettive già presenti, per esempio fra singoli o coppie e i minori che avevano in affido e, in casi speciali, per coppie di lesbiche e gay e talvolta, da chi ha fatto ricorso alla gravidanza per altri.
In linea di principio, una persona sola, donna o uomo, può avere competenze educative importanti, ma per accogliere un bambino fragile perché solo e abbandonato, spesso con una certa età, oppure i "minori particolari" come i portatori di handicap, per non parlare dell'investimento affettivo, materiale o a volte, la rinuncia di quello professionale... oltre ai diritti bisogna essere disponibili a fare i conti con la realtà.
Le varie complessità di un'adozione (parlo per esperienza) sono difficilmente contestabili. Infatti, secondo i dati della CAI, nel 2024, questi bambini e ragazzi con “bisogni speciali” hanno superato il 55 per cento del totale. Non solo a causa di lunghi periodi trascorsi negli orfanotrofi ma per i disturbi psicofisici da cui sono affetti, spesso non bastano due genitori competenti ed esperti. Come potrebbe cavarsela una persona sola?
Le perplessità arrivano anche dal mondo dell’associazionismo. Frida Tonizzo, presidente Anfaa (Associazioni nazionale famiglie adottive e affidatarie), in base a una lunga esperienza, ha affermato che: "Diversi figli adottivi adulti, potendo scegliere, preferirebbero avere due genitori invece di uno solo, insieme magari anche a eventuali fratelli e sorelle".
Al di là di queste pur valide considerazioni pratiche, c’è qualcosa nella sentenza della Consulta che è discutibile. Mi riferisco al termine "diritto". Nulla in contrario che ogni persona possa esercitare liberamente le proprie capacità di curare un minore, di intrattenere relazioni affettive e di dare la forma che vuole alla propria vita privata e familiare.
Mi chiedo: qual è il nesso fra questi diritti ritenuti essenziali con la motivazione di questa sentenza? I giudici sostengono che la genitorialità "rientra nella libertà di autodeterminazione della persona.. anche di quelle singole". Il concetto dell’autodeterminazione può essere applicato alla scelta di adottare un bambino?
In altre parole, il desiderio di un figlio deriva da una carenza o da una pienezza? Si può caricare un bambino di un'aspettativa così grande? Non si corre il rischio che il bambino diventi una persona per se stessi considerato come proprietà privata, o una forma di terapia? Mentre il bambino ha il diritto ad essere accolto, accudito e amato da parte di una famiglia, avere un figlio, naturale o in adozione, non è un diritto esigibile per legge.
In genere si dice che "desiderare un bambino sia una cosa naturale", di conseguenza, spesso, non è considerato naturale non averne. I desideri di chi vuole adottare un bambino vanno compresi bene. Talvolta saperli analizzare vuol dire mettere dei limiti, oppure anche capire che non ci si realizza sempre nel modo in cui si era previsto. Ciò significa adeguare i propri desideri alla realtà, mantenere una certa lucidità e, forse, non farsi "incoraggiare" dalle possibilità fornite dalla legge.
Il diritto all'adozione a qualunque costo come idea fissa che trascura ogni altro problema, come un boomerang, prima o poi potrà rivoltarsi contro il padre/madre e il figlio. Questo atteggiamento non prepara in alcun modo all'adozione. Dal bambino desiderato si passa al bambino immaginario, mentre l'adozione è prima di tutto uno scontro contro la realtà.
Un bambino adottato può riempire un vuoto, un carenza, ma diventa un pericolo quando serve "all'autodeterminazione della persona"! I figli sono un dono del Signore, non un tappabuchi per adulti irrisolti.
N.B. Per un esame biblico sulla complessità di questo tema sempre in evoluzione, incoraggio la lettura di "Unioni civili", Studi di teologia, suppl. N. 12 (2014).