Alla fine, tutti salvati. Il cardinal Cantalamessa “predica” l’universalismo cattolico
Come ogni stagione natalizia, si ripete la tradizione delle “prediche dell’avvento” che il predicatore pontificio rivolge al papa e alla comunità che lavora in Vaticano. Già l’anno scorso, il card. Raniero Cantalamessa, che ricopre questo ruolo importante, si era messo in evidenza per le sue parole biblicamente incongruenti sulla “conversione”. Il cardinale aveva usato la parola evangelica “conversione”, ma avendo sullo sfondo il sistema sacramentale cattolico e quindi predicando la seconda conversione esperienziale ai già battezzati (già salvati): qualcosa che non corrisponde all’insegnamento biblico.
Quest’anno la prima predica d’avvento ha avuto al centro la virtù teologale della fede, ma il fuoco del suo discorso è stato l’ampiezza della salvezza. Il sito Vatican News ha riassunto efficacemente la predica con il titolo “Dio ha molti modi per salvare”. Secondo il cardinale, si può essere salvati da Cristo ma senza fede in Cristo.
Ecco qualche pillola della predica: “Dio ha molti più modi per salvare di quanti noi possiamo pensare. Ha istituito dei ‘canali’ della sua grazia, ma non si è vincolato ad essi. Uno di questi mezzi ‘straordinari’ di salvezza è la sofferenza. Dopo che Cristo l’ha presa su di sé e l’ha redenta, è anch’essa, a modo suo, un universale sacramento di salvezza”. Cosa vuol dire? Che Dio salva chi soffre per il “merito” della sofferenza? E allora cosa ne è della fede in Gesù Cristo?
Il cardinale risponde alla domanda: “Una cosa, tuttavia, è affermare la universale necessità di Cristo per la salvezza e altra cosa affermare l’universale necessità della fede in Cristo per la salvezza”. Tradotto, vuol dire che Cristo salva, ma credere in Cristo non è necessario per la salvezza. Tutti (credenti, non credenti, diversamente credenti) sono salvati, anche quelli che non credono in Cristo.
“Superfluo, allora, continuare a proclamare il Vangelo a ogni creatura?” si chiede il cardinale. “Tutt’altro! È il motivo che deve cambiare, non il fatto. Dobbiamo continuare ad annunciare Cristo; non tanto però per un motivo negativo –perché altrimenti il mondo sarà condannato -, quanto per un motivo positivo: per il dono infinito che Gesù rappresenta per ogni essere umano. Il dialogo interreligioso non si oppone all’evangelizzazione, ma ne determina lo stile. Tale dialogo – ha scritto san Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio – “fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa”.
Per il cardinale, l’evangelo non contiene alcun giudizio contro nessuno. Non c’è nessuna condanna per i peccatori. Il giudizio di Dio non c’è più. Siamo già tutti salvati per Cristo ma con o senza Cristo. Evangelizzare oggi significa “dialogare” con le altre religioni sempre presupponendo la salvezza universale di tutti in presenza o in assenza della fede in Gesù.
Il cardinale non è il solo né il primo cattolico a sostenere questa re-interpretazione universalista del vangelo. Tristemente, è in buona compagnia: ha alle spalle il Vaticano II (ad esempio, Lumen Gentium 16) e papa Francesco (ad esempio, l’esortazione apostolica La gioia del vangelo, 2013; l’enciclica Fratelli tutti, 2020). E’ la posizione del cattolicesimo romano post-conciliare che crede che la chiesa, in quanto sacramento di salvezza, includa tutta l’umanità, volente o nolente, credente o non credente. Secondo questa visione, siamo tutti fratelli e sorelle, con o senza fede in Cristo. A farne le spese è il chiaro messaggio dell’evangelo secondo il quale nasciamo separati da Dio a causa del nostro peccato e solo grazie a Cristo creduto e professato siamo salvati. L’universalismo è una vecchia idea che il cattolicesimo contemporaneo ha rimesso al centro della sua teologia e che spaccia come “vangelo”.
Considerata la stima che il card. Cantalamessa gode in certi ambienti del dialogo cattolico-pentecostale italiano e internazionale, la sua idea che tutti sono salvati con o senza fede in Cristo è anche quella dei suoi amici pentecostali?