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Amare e non amare la città. Tim Keller alla conferenza City to City Europe

La rete di Roma per la fondazione di chiese

Pastore Tim Keller

Negli ultimi due decenni, non c’è autore che abbia insistito di più sulla responsabilità evangelica per le città di Tim Keller. La città come luogo teologico, la città come luogo di missione: questi sono stati i fuochi dell’ellisse del pensiero di Keller che è distillato nel libro Center Church (in corso di traduzione in italiano). Pastore emerito della chiesa Redeemer di New York, Keller è associato, tra le altre cose, ad un importante movimento di fondazione di chiese evangeliche nelle città del mondo.

In questi giorni si sta tenendo una conferenza della rete City to City Europe in modalità ibrida in cui Keller è stata una delle voci più interessanti. Da Roma hanno seguito i lavori quindici persone riunite insieme presso una chiesa evangelica. Nella prima giornata della conferenza, tra le varie sessioni condotte da Kristi Mair (Oak Hill College, Londra) e da Tim Vreugdenhil (Amsterdam), Keller ha parlato dell’amore per la città. E’ possibile amare la città? E se sì, come?

Partendo dal testo biblico di Giona 4,11: “e io non avrei pietà di Ninive, la gran città”? in cui Dio sfida la durezza di Giona e il suo atteggiamento oppositivo alla città, Keller ha passato in rassegna quattro modi in cui questa pietà o compassione o amore per la città non deve essere vissuto per poi presentare quattro modi in cui può essere sperimentato. La “pietà” di cui parla il Signore a Giona non è una semplicistica positività verso la città, ma una complicata e talvolta sofferta compassione che nasce dall’amore. Dunque non stiamo parlando di una superficiale simpatia per l’urbanità, ma di una postura del cuore consapevole della complessità e nutrita da un impegno di carità.

Per Keller, amare la città non significa: 

  • Rigettarla provando una forma di disdegno. Sì, la città è il luogo della malvagità, della tentazione e della ribellione e può suscitare ribrezzo e rifiuto, ma non vi è nessuna ragione biblica per starne alla larga. E’ un luogo immenso e bisognoso dove Dio chiama a vivere per Lui.

  • Essere indifferenti. Accade quando usiamo la città come luogo dormitorio, solo di transito tutti indaffarati ai nostri micro-progetti, ma disinteressati al tessuto urbano nel quale viviamo. E’ un modo di “consumare” la città senza parteciparvi in modo costruttivo. Non è questa una forma di cittadinanza cristiana accettabile.

  • Provare affetto romantico. Si verifica quando si è intrisi di un’accezione “mitica” della città. Si ama frequentarne le attrazioni (ristoranti e luoghi d’intrattenimento) e ne si carpisce l’energia senza filtri controculturali. E’ un vissuto di città spiritualmente infantile che non fa i conti con la realtà complicata di tutta la città e non solo di un suo pezzo attraente.

  • Amare la propria tribù nella città. Succede quando si è dentro una propria micro-città fatta di persone simili, di chiese uguali, di gente affine. Nella città ci costruiamo la nostra piccola città ad immagine e somiglianza della nostra tribù di riferimento, senza cogliere la sfida della complessità della sua composizione.

Se questi sono modi per non amare la città, quali sono le piste bibliche per vivere da cittadini di passaggio ancorché radicati dove Dio ci chiama? Keller ha suggerito quattro modalità positive per amare la città:

  • Capire la città. Si abita la città cristianamente se si fa lo sforzo di capirne l’architettura, la cultura, il piano regolatore, la demografia, la storia. Il teologo biblico Vos definisce la città “un accumulatore di energie e di cultura” il cui funzionamento magnetico va capito. Vanno compresi gli idoli che tengono in mano la vita urbana. 

  • Imparare dalla città. Per capire bisogna ascoltare le voci della città. Pensiamo di apprendere come vivere in città in modo unidirezionale, ma abitare la città vuol dire praticare il “doppio ascolto”: la Scrittura e la cultura permettendo a tutto il corpo di Cristo presente nella città di partecipare a questo duplice processo.

  • Avere una visione per la città. Non essere cittadini passivi che ciucciano le risorse della città, ma interpreti fattivi dell’istanza di cambiamento dell’evangelo in tutte le sfere della vita. La città non è statica, ma muta sempre. Come possiamo essere fattori di cambiamento urbano in quanto chiese dell’evangelo?

  • Servire la città essendo pronti al sacrificio. Si ama la città con le maniche alzate: servendo, dando e dandosi anche in modo sacrificale. La vita fuori dalla città può essere più comoda, più economica, più tranquilla. Vivere nella città in modo progettualmente cristiano può non essere la soluzione umanamente più semplice, ma Dio chiama ad essere pronti ad amare con uno spirito di servizio e di sacrificio.

Keller ha concluso ricordando che Giona uscì dalla città arrabbiato e pregò per la sua distruzione. Il vero profeta, Gesù Cristo, vedendo la città da fuori, avrebbe invece pianto e pregato per essa, andando poi a morire e risorgere per inaugurarne una nuova: la città di Dio.


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