Art(e)vangelo (III). Arte e cristianesimo nella storia

 
 

In che modo l’arte è stata utilizzata dalla chiesa nel corso della storia? Il terzo incontro del modulo Art(e)vangelo, tenutosi presso l’ICED di Roma, è stato un viaggio nel tempo facendo sosta in sei momenti specifici della storia. 

La prima tappa ha guardato al cristianesimo apostolico, la cui visione sull’arte è plasmata dalla centralità dell’annuncio della Parola di Dio. Si può parlare di un’estetica kerygmatica, al servizio della proclamazione dell’evangelo. Lo stesso Paolo utilizza un linguaggio artistico per descrivere il suo messaggio, avendo “dipinto” il Cristo crocifisso con la parola stessa (Gal 3,1). All’interno dell’ottica dell’annuncio, si sviluppano arti diverse: la poesia viene inserita dentro le lettere apostoliche (celebri sono quelli di Colossesi 1 e Filippesi 2); gli inni, salmi, cantici spirituali sono inseriti nella vita della chiesa; gli spazi sono duttili e funzionali a “dove due o tre sono riuniti nel mio nome” (Mt 18,20). Non avendo luoghi dedicati in modo esclusivo al culto, ogni luogo è esteticamente adeguato alla celebrazione cristiana. 

All’età apostolica, segue quella paleo-cristiana, grosso modo coincidente con l’età dei padri della chiesa. L’arte paleocristiana si sviluppa nelle catacombe con immagini legate a storie bibliche (il buon pastore, Noè nell’arca, Daniele nella fossa dei leoni, ecc.). Le immagini impiegate evocano episodi della storia della salvezza per nutrire la speranza della resurrezione. Nel II e nel III secolo va ricordato anche il pensiero di Origene e Ireneo che distinguono tra logos (Parola) e eikon (immagine): Dio si è rivelato nel logos, non nell’immagine. Questi insegnamenti sono ripresi dal Concilio di Elvira (313) che afferma che “Non ci debbono essere pitture nella chiesa, affinché non sia dipinto sulle pareti quel che viene venerato e adorato”. Dunque, le immagini possono ornare e ricordare ma non possono essere utilizzate per il culto. Questo è un tempo in cui l’analfabetismo era fortemente diffuso; per ovviare ad esso Gregorio Magno guarda alle immagini come uno strumento didattico utile per insegnare. Dunque, è attraverso le immagini che si può così accedere ad una forma di conoscenza: nasce l’idea della “Bibbia dei poveri”, storie bibliche raffigurate in immagini per chi non sa leggere. Anche al tempo della Riforma persisteva questo problema ma, a differenza di Gregorio, i Riformatori avrebbero pensato che la soluzione al problema fosse l’alfabetizzazione e l’istruzione per tutti; il problema non si risolve con le immagini ma insegnando a leggere.

La terza tappa vede il passaggio delle immagini dall’uso didattico all’utilizzo nel culto. Siamo nel tardo-antico che dà avvio al medioevo. Giovanni Damasceno si pone a difesa delle immagini sacre affermando che, poiché Dio si è incarnato in Gesù Cristo, le sue forme sono riproducibili e possono entrare a far parte del culto. L’immagine diventa in questo modo venerabile, ad essa gli si può attribuire un culto in senso di dulia mentre al Prototipo, cioè a Dio, gli si può attribuire un culto in senso di latria. Dunque, con il secondo Concilio di Nicea (787) vengono reintrodotte le immagini del culto seguendo la linea del Damasceno. Nella tradizione orientale queste idee si evolvono e sfociano nella questione riguardante le icone considerate come strumento che permette un contatto con il divino; venerando le icone la vita divina viene trasfusa in coloro che le venerano.

Con la Riforma protestante avviene una rivoluzione: volendo ripensare ogni questione per essere rifondata sull’unico fondamento di Cristo rivelato nella Parola di Dio, i Riformatori guardano anche all’arte come un campo dove Dio doveva riaffermare il suo primato. Lutero, Calvino e gli altri riformatori, condividevano la critica e il divieto dell’uso delle immagini nel culto. Calvino, in particolare, riteneva che fosse troppo facile confondere le cose create con il Creatore. Immaginare o possedere qualcosa in cui riporre la propria fiducia al posto del (o in aggiunta al) vero unico Dio che si è rivelato nella sua parola significava aprire le porte all’idolatria. Le chiese vengono purificate dalle immagini, mirando ad una essenzialità che pone al centro di tutto la Parola di Dio. Se ci si fermasse alla superficie delle loro tesi, si potrebbe pensare che i Riformatori abbiano in un certo senso osteggiato le arti ma la realtà non è questa. L’avversione verso le raffigurazioni visive di Dio non si estendeva ad altri soggetti e inoltre le restrizioni venivano imposte agli artisti solamente per le decorazioni dei luoghi di culto. Calvino non ha mai impedito a nessuno di dipingere, per esempio. Anzi, si può affermare che queste proibizioni favorirono il sorgere di nuovi interessi per gli artisti, come ad esempio nell’arte fiamminga del Seicento, che vede gli artisti posare gli occhi su nuovi protagonisti come il paesaggio o le scene di vita quotidiana o ancora i ritratti.

La Riforma riporta l’attenzione sul Cristo predicato piuttosto che sul Cristo raffigurato. A questo spostamento d’asse, la chiesa cattolica risponde con la promozione dell’arte come uno strumento propagandistico per plasmare l’immaginazione sensuale e devozionale dei fedeli, senza permettere alla Scrittura di re-indirizzare la vita intera al culto di Dio secondo la Parola di Dio. Il Concilio di Trento portò conseguenze decisive oltre che in ambito liturgico anche in ambito artistico. 

L’ultima tappa del viaggio ha sfiorato l’università di Princeton, per riprendere la lezione di Abraham Kuyper sul tema dell’arte (1898). Essa può essere vista come un’evoluzione del pensiero riformato, un pensiero che ha portato l’arte ad uscire fuori dalla sfera ecclesiastica “liberandola” dal controllo della chiesa e incoraggiandola a guardare alla vita intera e non solo ai soggetti “sacri”. E’ da questa tradizione che l’approccio evangelico alle arti può trarre ispirazione per farsi promotore di una cultura rinnovata e rinnovante. 

P.S. Il prossimo appuntamento del modulo Art(e)vangelo sarà il 17 aprile p.v. su “Esperimenti di critica d’arte: il “Giudizio universale” (Michelangelo) e la “Vocazione di San Matteo” (Caravaggio)”

Della stessa serie:
“Art(e)vangelo (I). Una bussola biblica per l’arte” (26/1/2024)
“Art(e)vangelo (II). L’arte e la Bibbia in un libro di Francis Schaeffer” (23/2/2024)