Bavinckiana (IV). Dio esiste? Credere per provare
Nella sua Dogmatica (il cui secondo volume è disponibile in italiano: La dottrina di Dio e della creazione) Herman Bavinck (1854-1921) dedica un capitolo sulle “prove dell’esistenza di Dio”. Egli riconosce che ancor prima dei teologi cristiani, i filosofi antichi avevano “dedotto l’esistenza di un essere divino e cosciente di sé” (p. 91). La teologia cristiana riprese i loro metodi di ricerca, rielaborandoli e approfondendoli alla luce della Scrittura rivelata. Se inizialmente i Padri della chiesa affermarono che ai pagani era preclusa la possibilità di provare l’esistenza di Dio a meno di credere nell’opera redentrice rivelata nelle Scritture, col passare del tempo “la teologia cristiana si convinse sempre di più che le verità della religione naturale erano dimostrabili come quelle della matematica e della logica” (p. 92). Per cui, non era necessario credere per provare l’esistenza di Dio, ma i due ambiti potevano viaggiare su binari diversi senza mai incrociarsi.
Il cattolicesimo romano accolse questa posizione razionalista dichiarando che Dio poteva essere personalmente conosciuto attraverso la creazione grazie al lume della ragione (le ripercussioni e gli sviluppi di questa dottrina possono essere chiaramente ravvisati nell’apertura ecumenica caldeggiata da papa Francesco, rappresentante e propugnatore del Vaticano II). La Riforma protestante, pur accogliendo la teologia naturale e le sue prove, non la posizionò su un piano indipendente, ma la incorporò nella teologia rivelata, ritenendo che l’uomo accecato dal peccato avesse bisogno dell’occhio della fede per vedere e conoscere Dio. Purtroppo, con il passare del tempo, anche la teologia protestante si addentrò nella selva oscura del razionalismo, lasciandosi alle spalle la teologia rivelata e accogliendo l’autonomia della teologia naturale.
Le prove dell’esistenza di Dio finirono per essere considerate “non necessarie per i credenti e inutili per i non credenti, […] concludendo che andavano eliminate dalla dogmatica” (p. 94). Nondimeno, Bavinck osserva che sia i filosofi che i teologi continuavano instancabilmente ad occuparsi delle prove dell’esistenza di Dio. Secondo il teologo olandese, sebbene le prove siano variegate e abbiano modelli di ricerca ed elaborazione differenti, portano quasi sempre alla deduzione conclusiva dell’esistenza di un Essere supremo creatore e governatore dell’universo.
Bavinck passa in rassegna gli argomenti maggiormente discussi descrivendone il processo di ragionamento, le criticità e le deduzioni conclusive. Ad aprire le danze è l’argomento cosmologico; esso presuppone che siccome il mondo sembra essere governato da un rapporto causa-effetto, e dato che questo processo non può essere infinito, andando a ritroso, si arriverà a una causa prima che dà avvio a una catena di eventi. L’argomento teleologico, anziché partire dal principio, si concentra sul fine di ogni cosa che ci circonda, sia essa generale, come le stelle e la Terra, sia essa particolare, come gli organi dell’uomo o l’erba del prato. Ogni elemento pare essere stato progettato con un obbiettivo ben definito che si armonizza con il resto del creato. Da questo si deduce che se il mondo ha un fine consapevole anche il suo progettatore supremo dovrà essere un’entità cosciente.
L’argomento ontologico deduce l’esistenza di un Essere supremo tramite il pensiero che l’essere umano ha di quest’ultimo. Bavinck osserva che questa argomentazione non è da considerare “una vera prova e propria prova” perché non evince l’esistenza di Dio, ma ammette solamente che l’idea di Dio, al pari dell’universo delle idee e delle norme, seppur necessaria nel pensiero dell’uomo, non implica la realtà di Dio. Inoltre, “la necessità di pensare l’idea di Dio porta con sé la necessità di pensare a quell’idea come se esistesse” (p. 104), ma questo ragionamento resta relegato nella sfera del pensiero senza essere trasportato nella sfera dell’essere e quindi della realtà. A detta di Bavinck l’argomento ontologico serve primariamente a mettere gli uomini “davanti alla scelta di fidarsi di questa necessaria testimonianza della loro consapevolezza o, altrimenti, di disperare della loro coscienza” (p. 105).
Dopo aver trattato l’argomento morale e le obiezioni mosse dagli evoluzionisti, e aver analizzato l’argomento del consenso universale che deduce l’esistenza di Dio osservando che la religione non ha avuto un’origine accidentale, ma “è radicata nell’essenza della stessa natura umana” (p. 108) ed è comune a tutti gli uomini, il teologo olandese conclude il capitolo con l’argomento storico-teologico. Esso suppone l’esistenza di “un Essere che governa il mondo con saggezza e onnipotenza” dato che gli stessi gli storici studiano la storia partendo “dall’assunto che in essa vi siano un piano e una regola, uno sviluppo e una fine” e quindi “si procede sempre nella convinzione che la storia non sia un prodotto del fato o del caso, ma sia guidata da una mano ferma verso una mèta precisa” (p. 110).
Le prove dell’esistenza di Dio sono come un dipinto di cui si vuole conoscere l’autore per comprenderne l’epoca, la ragione e il valore. Il gruppo di esperti lo guarda da angolature diverse per trarne tutte le informazioni necessarie; c’è chi parte concentrandosi sul soggetto raffigurato, chi sul metodo di pittura utilizzato e chi cerca di decifrare la firma. Il fine è lo stesso, le modalità sono diverse. Se a un certo punto l’autore del quadro decidesse di presentarsi in carne ed ossa nel laboratorio dove si trovano gli studiosi indaffarati, forse non tutti si accorgerebbero della sua presenza, perché troppo concentrati a raggiungere l’obiettivo prefissato, e solo alcuni distoglierebbero per un attimo lo sguardo per trattenere una conversazione con l’ospite e ricavare dalle sue parole le informazioni che tanto desiderano. Da quel momento in poi, essi guarderebbero l’opera con una luce diversa avendo avuto modo di conoscere il suo creatore e la ragione che l’ha portato a crearla, mentre coloro che non si sono accorti della presenza dell’artista, continuerebbero a concentrarsi sui dettagli del dipinto senza mai avere una risposta ai loro quesiti.
Il Dio della Bibbia è l’autore del mondo e si è presentato all’umanità per mezzo di Gesù Cristo, suo Figlio. Egli ha voluto rivelare ai peccatori il fine della sua creazione e il suo piano di salvezza. Avremmo potuto vagare per l’eternità senza mai capire il motivo della nostra esistenza e non sapere nulla del nostro Creatore, ma il Dio d’Israele ha deciso di farsi conoscere. Siamo davanti ad un bivio: vogliamo essere come gli esperti che si scervellano sull’opera per capire chi è l’autore, o vogliamo relazionarci direttamente all’Autore, tramite la sua Parola, per avere tutte le informazioni necessarie sulla sua opera e il suo proposito?