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Henri Blocher legge i sacramenti cattolici (II). La presenza reale e il sacrificio dell’eucaristia

Il cattolicesimo è sacramentalista e al cuore del suo sistema c’è una concezione “causativa” del sacramento. Da un punto di vista evangelico, essa presenta notevoli problemi esegetici (il collegamento col testo biblico non è evidente), cristologici ed ecclesiologici (confonde Cristo e la chiesa) e soteriologici (vincola la grazia ad un meccanismo ecclesiastico). Da qui parte il teologo evangelico parigino Henri Blocher nel volume La doctrine de l’Église et des sacrements, tome 2, Charols, Excelsis; Vaux-sur-Seine, Edifac 2024, pp. 361. Il libro non è specificamente dedicato al sacramentalismo cattolico, ma quest’ultimo è parte dello sfondo tenuto presente dall’autore.

Proseguendo nella sua trattazione, a proposito dei sette sacramenti dogmatizzati al Concilio di Trento, Blocher nota che “il settenario sacramentale conduce a frammentare la grazia in un modo in cui il Nuovo Testamento non fa” (p. 93). Nello scomporre la grazia, il cattolicesimo la parcellizza perdendo di vista il suo essere un dono divino: la grazia di Dio non è una “cosa” che la chiesa fa a fette e che serve individualmente, ma Dio stesso che si dona. 

Sul battesimo, il teologo parigino si sofferma più sulla critica al pedobattesimo protestante mentre glissa sulla concezione cattolica secondo cui il battesimo è un sacramento che rigenera. Questo è un limite del libro: non aver incluso un capitolo sul battesimo secondo Roma. 

E’ sull’eucaristia cattolica che Blocher si concentra maggiormente. Ricorda che è stato Tommaso d’Aquino a parlare dell’eucaristia come del sacramento più importante perché in esso Cristo stesso è contenuto sostanzialmente, mentre per gli altri sacramenti Cristo lo sarebbe solo per partecipazione. Per il fatto di essere considerata fonte e culmine di tutta la vita cristiana, Blocher parla di “esaltazione cattolica dell’eucaristia” (p. 145). In essa, il cattolicesimo racchiude tutto sé stesso: la dogmatica ecclesiastica e l’appartenenza istituzionale. Oltre che essere impedita da Roma stessa, la partecipazione evangelica all’eucaristia è pertanto da evitare proprio perché è il sacramento per eccellenza di chi è cattolico (p. 187).

Blocher dedica un intero capitolo ad analizzare due pilastri dell’eucaristia cattolica: la “presenza reale” ed il “sacrificio”. Ripreso dal Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 1373-1377), il Concilio di Trento a proposito della presenza di Cristo nell’eucaristia usa gli avverbi “veramente, realmente e sostanzialmente”. Giustamente Blocher nota che, a proposito della Cena, gli evangelici (anche gli zwingliani!) parlano di “presenza”. Bisogna intendersi su quale senso attribuire a questa presenza: per gli evangelici (tranne i luterani che hanno una concezione tutta loro), essa è “spirituale” cioè grazie allo Spirito Santo e nello Spirito; per i cattolici, invece, essa implica il cambiamento di sostanza del pane e del vino operato dall’officiante in corpo sacramentale di Cristo. Sono due vissuti e concetti di presenza effettivamente lontani.

Da dove viene questa comprensione cattolica? Blocher richiama l’evoluzione del dogma cattolico. Mentre il pensiero di Ireneo, Origene e Tertulliano oscilla e tende verso un’interpretazione realista, in altri Padri della chiesa si trovano autori più spiritualisti (p. 195). Seguendo P. Marcel, vengono citati Basilio, Gregorio di Nazianzo e Agostino. Quest’ultimo ha una teologia irrisolta della Cena: a volte identifica la realtà divina e il segno sacramentale, altre volte parla della loro differenza (p. 200). Lo sviluppo medievale culminato con il dogma della transustanziazione del IV concilio laterano (1215) ha visto saldarsi nella dottrina romana l’interpretazione letterale del detto del Signore: “questo è il mio corpo”, unita alla pietà misterica, alla ricerca di contatto fisico per la comunicazione della grazia e all’esaltazione del potere di santificare da parte dell’istituzione ecclesiastica (p. 207). 

Biblicamente parlando, Blocher nota che nella Scrittura il corpo ed il sangue di Cristo non sono legati al pane e al vino: è fuori dal seminato biblico pensare ad un cambiamento della loro natura ed è “metodologicamente irresponsabile inventare un nuovo uso del linguaggio senza che il testo lo richieda” (p. 215). Semmai, la chiesa è il corpo di Cristo e “niente indica che il pane diventi corpo” (p. 217). In più, il vino rimane il “frutto della vigna” (Matteo 26,29). Inoltre, il pane ed il vino significano e rappresentano il corpo e il sangue di Cristo, senza essere trasformati in Cristo stesso. Infine, l’ascensione di Cristo alla destra del Padre non permette di “localizzare” la presenza di Cristo sulla tavola eucaristica (p. 211).

Rimanendo legato al dogma tridentino della transustanziazione, il cattolicesimo ha in decenni recenti aperto la strada a re-interpretazioni relazionali della sostanza (ad esempio in B. Sesboüé) o nella direzione della “transignificazione” (P. Schoonenberg) che però non cambiano il sistema sacramentale cattolico (p. 213). Il fondo del problema rimane: il cattolicesimo ha bisogno di individuare un contatto carnale mediante il quale la vita divina sia trasmessa (p. 220).

Quanto alla concezione cattolica dell’eucaristia come “sacrificio” (e quindi propiziatorio), Blocher nota come nella patristica l’eucaristia viene associata primariamente al sacrificio di preghiere (Giustino, Ireneo, Tertulliano). Solo dalla seconda metà del terzo secolo, l’accento cambia e si fa strada l’idea dell’immolazione ripresentata del sacrificio di Cristo (Cipriano di Cartagine, Cirillo di Gerusalemme, Giovanni Crisostomo). Anche in questo caso, Agostino oscilla tra le posizioni. Al Concilio di Trento, Roma scolpisce nella sua dottrina la concezione sacrificale ed espiatoria dell’eucaristia: secondo il teologo olandese G. Berkouwer, si tratta di un’ombra proiettata sulla sufficienza dell’opera di Cristo (p. 232). L’opera dell’espiazione non è compiuta una volta e per sempre, ma viene continuamente immolata. Per il cattolicesimo, essa non è quindi completa: richiede la presenza sostanziale del corpo di Cristo e l’offerta continua della chiesa. Blocher è perentorio: “l’idea di un’immolazione sacrificale del Cristo sulla tavola eucaristica, trasformata in altare, non possiede alcuna giustificazione, biblica o teologica” (p. 241). Siamo in presenza di un’invenzione del cattolicesimo dipendente dalle religioni naturali e pagane assorbite nel corpus del vissuto cattolico.

Contrariamente alla lettura ecumenica che vuole vedere nella concezione cattolica dell’eucaristia un altro e complementare modo di intenderla e praticarla, Blocher aiuta a chiarire che, pur in presenza di parole uguali e simili, la sacramentologia cattolica opera in un universo altro rispetto alla fede evangelica. Per questa ragione, il teologo parigino ha reso con questo libro denso e profondo un altro servizio utile al discernimento teologico evangelico.



Della stessa serie:

“Henri Blocher legge i sacramenti cattolici (I). La critica alla causalità sacramentale” (5/6/2024)


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