Calvino detestava l’arte? Un altro “mito” inconsistente
La figura di Calvino è circondata da aloni sinistri: teologo cerebrale, persecutore dei dissidenti, teorico della predestinazione. Tra queste caricature c’è anche la credenza della sua avversione per le arti in generale e quelle figurative in particolare. Per carità, i personaggi storici non hanno bisogno di difese d’ufficio partigiane. Per la fede evangelica, siamo tutti peccatori salvati per grazia soltanto e, nemmeno gli eroi della fede, sono esenti da lati oscuri. Detto questo, molte di queste dicerie intorno alla figura di Calvino sono più caricature gratuite che realistiche rappresentazioni della realtà.
Un’occasione per tornare alla relazione di Calvino con l’arte è offerta dall’interessante saggio di Adrienne Dengerink Chaplin, “Calvin and the arts: pure vision or blind spot?” contenuto nel volume di Roger D. Henderson – M. Hengelaar-Rookmaaker (edd.), The Artistic Sphere. The Arts in Neo-Calvinist Perspective, Downers Grove, IVP Academic 2024, pp. 35-46.
Sulla scia del saggio, ci sono due versanti della questione da considerare. Da un lato, Calvino condivideva con gli altri Riformatori la critica all’uso delle immagini per il culto che invece erano diventate centrali nel cattolicesimo. In un certo senso era un iconoclasta. Nella sua interpretazione di Esodo 20,4, Calvino riteneva valido il divieto delle immagini di Dio in generale e di ogni immagine nel contesto del culto. Per lui ogni rappresentazione visiva di Dio contraddiceva l’immensità del suo essere e corrompeva la sua gloria. Le immagini alimentavano idolatria non culto in spirito e verità. Oltre a riformare il culto togliendo le immagini, Calvino chiuse gli edifici ecclesiastici in orari non di celebrazione per incoraggiare le persone a pregare in casa o dovunque si trovassero, piuttosto che attribuire sacralità ai luoghi di culto. In questo modo voleva che si percepisse la non dipendenza del culto da spazi e tempi sacri e la chiamata cristiana a innervare di culto cristiano ogni momento e ogni luogo della vita.
L’altro lato della questione è la visione “artistica” della teologia di Calvino. Celebre è la sua definizione del mondo come “teatro della gloria di Dio”. Le Istituzioni della religione cristiana sono piene di inviti ad osservare, apprezzare, valorizzare il creato di Dio e le cose belle e buone che Dio, nella sua grazia comune e mediante lo Spirito, permette alle donne e agli uomini di realizzare (es. II.2.16). Inoltre, mentre non sembra aver avuto una particolare propensione per le arti visive e musicali, Calvino era un letterato che leggeva i classici del pensiero e ha prodotto letteratura entrata a far parte della cultura occidentale. Da Calvino, poi, hanno tratto ispirazione artisti e correnti di artisti che, soprattutto nell’Olanda dal Seicento in poi, hanno prodotto opere di arte visiva, musicale e letteraria. La sua reticenza riguardava l'uso cultuale ed idolatrica delle immagini, ma ciò non era una condanna dell’arte in quanto tale. L’arte andava riformata dalle incrostazioni pagane e riorientata dalla e per la gloria di Dio.
Calvino pensava che l’arte rinnovata dalla fede dovesse avere la stessa cifra della vita e cioè essere caratterizzata da sobrietà, modestia e improntata alla gloria di Dio. Fu questo lascito che generazioni di artisti dopo Calvino fecero proprio in vario modo. Ancora oggi, se nel mondo evangelico si è ripreso a parlare di arte, è perché secoli dopo Calvino ma riprendendo la sua lezione, personalità come A. Kuyper, H. Rookmaaker, F. Schaeffer, C. Seerveld, B. Edgar e molti altri hanno recuperato e rilanciato la chiamata cristiana a vivere tutta la vita (arte compresa) per la gloria di Dio, consapevoli delle distorsioni del peccato ma anche dell’abbraccio totalizzante della redenzione di Cristo. Era questo che anche Calvino aveva insegnato.