Chiese da rivitalizzare. Esigenza europea diffusa
Sì certo, bisogna fondare nuove chiese. A tutte le latitudini denominazionali e in tutti i circoli missionari, la fondazione di chiese è una priorità alta nell’agenda evangelica europea. Si può dire che “fondazione di chiese” è diventata, negli ultimi vent’anni, una delle password più usate nel gergo evangelico internazionale. Ed è giusto che sia così. Nonostante la retorica del continente post-cristiano che va solo risvegliato ma che conserva un’anima cristiana, l’Europa è largamente non cristiana e quindi la fondazione di chiese è, come ricordava il da poco scomparso Tim Keller, il metodo migliore per l’evangelizzazione.
Detto questo, uno dei rischi di porre eccessiva enfasi sulla fondazione di nuove chiese è di perdere di vista i bisogni delle chiese già fondate e stabilizzate da decenni o addirittura da secoli, ma che si presentano affaticate, in regressione o in situazione di stagnazione. La fondazione di nuove chiese può diventare un alibi e una via di fuga dalla responsabilità di sostenere le chiese che vivono stagioni di “crisi” dovuta a mille ragioni.
Che la rivitalizzazione delle chiese evangeliche inizi ad essere percepita come un’esigenza diffusa è segnalata dal fatto che uno dei seminari più seguiti allo European Leadership Forum (ELF) tenuto a Wisla (Polonia) dal 20 al 24 maggio è stato quello di David Brown proprio sulla rivitalizzazione delle chiese. Brown, di origine britannica, ma da una vita pastore evangelico in Francia, ha nel corso degli anni sviluppato un’attenzione verso il tema che ora è sfociato nella pubblicazione del libro Re-connect your church. A practical handbook for church revitalization (IVP, 2023). Il libro è stato dato in omaggio a tutti I 750 partecipanti allo ELF.
Il libro è una guida a porsi delle domande sullo stato di salute delle chiese. E’ evidente che la rivitalizzazione dipende da parametri diversi che, combinandosi ed intrecciandosi, forniscono una diagnosi. Brown dice che ci sono dei segnali di crisi quando la “comunità” della chiesa è spezzata o bloccata o quando la proiezione evangelistica e culturale è ferma. Inoltre, sintomi del bisogno di rivitalizzazione sono la rigidità nel non sapersi adattare a situazioni o scenari cangianti, i fenomeni di abbandoni più o meno sommersi e il blocco dei processi di discepolato all’interno della chiesa. Se la chiesa è “ferma”, sta in realtà andando indietro.
Per favorire la rivitalizzazione non ci sono ricette semplicistiche o formulette magiche. Brown sottolinea la necessità di pregare e agire per un movimento all’interno della chiesa che comprenda la leadership e che si estenda su tutte le sue componenti.
Per pregare per la rivitalizzazione, bisogna accettare di leggere con realismo e autocritica la situazione della chiesa. Se i problemi sono occultati o rimossi, oppure attribuiti semplicisticamente agli “altri” o al “combattimento spirituale”, non ci saranno le condizioni per aprirsi ad una stagione di rivitalizzazione.
Domande immediate che sorgono dalla lettura del libro di Brown: quanta consapevolezza, onestà e apertura a parlarne esiste nelle chiese evangeliche italiane? Siamo pronti ad ammettere i nostri bisogni e a fare diagnosi realistiche senza ricorrere ad atteggiamenti difensivistici ad oltranza e senza scatenare rese dei conti tra personalità o fazioni? Con chi si può parlare di rivitalizzazione quando il problema è incistito nella chiesa locale e la chiesa non è collegata ad una rete più grande? Ci sono storie di rivitalizzazione che possono ispirare le chiese che sono in crisi?
Il libro di Brown accende una luce su un tema tanto delicato quanto diffuso. Bene aprirsi alla fondazione di chiese, ma la passione per l’opera evangelica deve porsi anche la questione di come rienergizzare spiritualmente chiese stanche ed acciaccate.