Da post-evangelici a ex-vangelici. Cosa ci dice il fenomeno di chi contesta
Fece un certo scalpore, nel 1995, l’uscita di un libretto in Inghilterra dal titolo Il post-evangelico (Londra, SPCK 1995). L’autore, Dave Tomlinson, proveniva dalle fila delle assemblee dei fratelli, poi divenuto carismatico, aveva infine coniato l’espressione “post-evangelico” per descrivere la sua fede andata in crisi rispetto ai parametri precedenti: ancora legata all’esperienza evangelica, ma anche divenuta qualcosa di diverso, di post-, di oltre. Non era niente di nuovo in realtà. Nel caso di Tomlinson, si trattava di un miscuglio di radicalismo libertario (contro la rigidità percepita delle chiese evangeliche), comunitarismo sociale (contro l’individualismo respirato) condito di dosi di barthismo dottrinale (contro il fondamentalismo prima fatto proprio). Il volumetto dava un nome ad un fenomeno di disagio nei confronti di un vissuto della fede evangelica (almeno com’era percepito dai protagonisti) che riprendeva l’etichetta “post-”. Essa era stata introdotta dal pensatore francese Jean-François Lyotard nel volume La condizione postmoderna del 1979 (ed.it.: Milano, Feltrinelli 1981) per parlare appunto della crisi delle meta-narrazioni onnicomprensive della modernità che si erano indebolite, per non dire sbriciolate, nella postmodernità.
Il post-evangelico era una etichetta che segnalava l’emersione di un fenomeno di disaffezione verso una certa esperienza di fede evangelica senza per questo caratterizzarsi in un abbandono totale della stessa. Negli ultimi anni, il fenomeno dei delusi e dei perplessi si è evoluto e, in qualche modo, radicalizzato soprattutto negli USA. Alcune storie di rigetto adirato della fede hanno portato a coniare una nuova parola: “exvangelico”, diventata a suo modo virale nei social media. Qui non si parla più di un cammino di fede che continua in una versione “post-evangelica” (qualunque cosa voglia dire), ma di una cesura netta dall’esperienza precedente che ora viene criticata aspramente, montandoci una vera e propria polemica contro.
Exvangelico è un grido di chi pensa di essere stato evangelico (almeno nella sua accezione di evangelico) e non lo è più; anzi vuole prendere le distanze pubbliche e plateali da quella identità contestandola apertamente. Se si varca la soglia della blogosphera per capire di cosa si tratta, si raccolgono subito alcuni elementi interessanti. La fede “evangelica” precedentemente vissuta e ora ripudiata dagli exvangelici è un mix di elementi dottrinali propri della fede evangelica (l’inerranza biblica, l’esclusività di Gesù Cristo), di interpretazioni della sessualità contrarie all’omosessualità e alla fluidità di genere e di intrecci stretti tra l’evangelo e una cultura religiosa politicizzata (repubblicana, trumpiana, razzista, ecc.). La miscela di questi elementi è diventata così esplosiva da portare alcuni a non voler più essere associati a questo evangelismo e, dunque, a diventare exvangelici, cioè agnostici nella dottrina per non dire atei, aperti ad ogni tipo di vissuto di sessualità e politicamente progressisti.
Già in un precedente articolo, ci siamo interrogati sulla richiesta di abbandonare la parola “evangelico” vista la sua recente e troppo stretta commistione con la politica USA. Per alcuni, evangelico è diventato una categoria politica (conservatrice), partitica (repubblicana), culturale (nazionalista) ed emotiva (arrabbiata e divisiva). Vi sono buone ragioni bibliche, storiche e legate alla natura globale dell’evangelicalismo che inducono a non cedere a queste richieste miopi e provinciali. “Evangelico” è una bella parola dal denso significato dottrinale, esperienziale e trasversale rispetto alle chiese e movimenti che hanno riconosciuto e riconoscono la Buona Notizia di Cristo nella storia e nel mondo. Mentre è giusto esercitare una vigile autocritica sulle incrostazioni regionali che il termine può assumere, non dobbiamo cedere all’idea che per sganciare il significato di evangelico da alcune propaggini politico-culturali di una nazione si debba buttare via la parola “evangelico”. Una certa fase della politica USA è passata e passerà, l’evangelo no e anche la parola “evangelico” mantiene e manterrà la sua spendibilità.
Tornando agli exvangelici, torna in mente quello che l’apostolo Paolo scrisse a Timoteo: “conservando la fede e una buona coscienza alla quale alcuni hanno rinunciato e, così, hanno fatto naufragio quanto alla fede” (1 Timoteo 1,19). Come allora, anche oggi ci sono alcuni che rinunciano alla fede per motivi che solo Dio sa. E’ un naufragio della vita che non può essere spiegato fino in fondo. A noi, più che giudicare sommariamente e sbrigativamente, è chiesto di mantenere la fede nella sua biblica ricchezza e una buona coscienza in via di guarigione dalle distorsioni del peccato, senza dare motivi di scandalo, senza scambiarla per un’ideologia politica, senza trasformarla in una gabbia settaria.