Dal Maurizio Costanzo Show è passata l’Italia, tranne quella evangelica
E’ stato il palco dell’Italia “da bere”, dei “meravigliosi anni Ottanta”, dell’Italia chiacchierona e nottefondaia. Insomma è stato il “Maurizio Costanzo Show”, il celebre programma televisivo tra i più longevi della storia della televisione italiana e il cui autore-presentatore è recentemente scomparso. Dal 1982 al 2009 e poi dal 2015 al 2017, con ben quarantadue edizioni, il “Maurizio Costanzo Show” ha accompagnato almeno due generazioni di italiani invitandole giornalmente nel suo salotto dove, sera dopo sera, incontrava personaggi famosi, ma anche migliaia di persone sconosciute al grande pubblico che avevano una storia da raccontare. Lui faceva un po’ il padrone di casa, un po’ il confidente, un po’ il provocatore, un po’ il creatore di sit-com.
Maurizio Costanzo (1938-2023) è stato un abilissimo giornalista, ma anche un grande affabulatore. Non solo sapeva raccontare storie, ma le faceva raccontare agli altri sotto quei baffi sornioni e il suo understatement tra il serio ed il faceto. Sul palco del Teatro Parioli, è passato il mondo: attori e attrici, politici, giornalisti, cantanti, artisti, religiosi, attivisti di qualche causa ma anche gente “normale”. Lui si sedeva a lato, leggermente indietro rispetto a chi parlava, suggeriva una parola o un tema e poi lasciava parlare, salvo poi coinvolgere un altro ospite che proseguiva in tutt’altra storia. In questo modo creava delle narrazioni composite che, spesso, risultavano gradevoli al pubblico.
In quarant’anni di trasmissioni, si può dire che l’Italia “profonda” sia passata dal “Maurizio Costanzo Show”. Con un’eccezione: quella evangelica. A memoria, infatti, tranne la fugace apparizione di Marvin Oxenham sulle “sette” e i nuovi movimenti religiosi nel 2004, peraltro tagliata, non sembra che Costanzo abbia mai avuto degli evangelici sul palco che raccontassero qualcosa. Non è un caso, ma una conferma. Gli evangelici non “esistono” per la televisione. Cioè esistono sui territori anche se sono una minoranza, ci sono chiese evangeliche quasi ovunque, c’è una presenza storica che per quanto piccola non è trascurabile, ci sarebbero anche persone che avrebbero cose da dire e non soltanto su temi squisitamente ecclesiastici e con un linguaggio da chiesa. Eppure, la televisione li ignora. Anche Maurizio Costanzo, in quarant’anni di trasmissioni quasi giornaliere, non ha mai voluto incrociare dei credenti evangelici.
Facciamoci due domande: l’assenza degli evangelici è una responsabilità del sistema dell’informazione che seleziona ed esclude alcune voci in modo ideologico e pregiudiziale? O è responsabilità degli evangelici che, per quanto presenti fisicamente, non sono “visibili” socialmente e culturalmente, oppure non risultano essere “interessanti” secondo i criteri dei media? Oppure è una combinazione di questi elementi?
Sarebbe facile puntare il dito alla conventio ad excludendum tipica della cultura catto-comunista italiana che ha, da sempre, messo a tacere le minoranze, tra cui quella evangelica, al massimo dando ad alcune di loro (ma non a tutte) un formale diritto di tribuna. In nessuno dei programmi giornalistici e d’informazione (da Porta a Porta a Di Martedì, da Otto e Mezzo a Piazza Pulita, ma potremmo andare avanti citando decine di programmi …) si invita qualcuno/a che dia una lettura evangelica dei fatti o racconti qualcosa dal punto di vista della cultura evangelica. Il “Maurizio Costanzo Show” non è stato un’eccezione, ma la regola che vige nel nostro Paese: si ascoltano sempre i soliti, mentre si ignorano sempre gli stessi. Per quanto sbandieri il suo “pluralismo”, il sistema dell’informazione sembra essere chiuso.
Detto questo, bisogna però fare anche una lettura auto-critica. Se gli evangelici non sono invitati, è forse anche perché non ci sono molti giornalisti, autori, artisti, cultori di qualche materia, gente competente che possa parlare di qualcosa senza improvvisare o senza dar voce alla “pancia” evangelica senza averla connessa alla “testa” e al “cuore” evangelico. Diciamocelo francamente: il tasso di presentabilità di molta comunicazione evangelica (in genere sui social) è spesso imbarazzante per livore, superficialità, qualunquismo. Chiediamoci: quale cultura evangelica le chiese evangeliche stanno promuovendo? Si incoraggia la lettura, lo studio, il confronto, la formazione di competenze, l’affinamento di uno sguardo evangelico alla realtà?
Il sistema dei media è colpevolmente bloccato, ma dovesse aprirsi, saremmo in grado di rispondere in modo adeguato?