Dalla preghiera al pulpito (II). I due pilastri della testimonianza dell’evangelo

 
 

N.B. Queste note sono state utilizzate come meditazione biblica in occasione del Laboratorio della predicazione tenuto all’IFED di Padova dall’11 al 13 luglio 2024.

 

Nel primo articolo, abbiamo parlato della preghiera come primo pilastro della testimonianza dell’evangelo nel servizio della predicazione. Abbiamo riflettuto sull'esortazione dell'apostolo Paolo alle chiese di Colosse di perserverare nella preghiera di ringraziamento, pregando anche che Dio aprisse una porta a Paolo per annunciare il mistero di Cristo, cioè il piano di salvezza di Dio nella nascita, morte e risurrezione di Gesù Cristo, il figlio di Dio. Paolo sapeva che il cammino verso il pulpito è fondato sulla preghiera, una pienezza nella nostra comunicazione con Dio, ed è una preghiera che ci conduce alla proclamazione fedele dell’evangelo, cioè una pienezza nella nostra comunicazione al mondo. La proclamazione è il secondo pilasto. Andiamo dalla preghiera al pulpito, cioè, alla proclamazione.

 

Al pulpito (alla proclamazione) vv. 3-6
Questo era il più grande desiderio di Paolo: che attraverso la preghiera costante, intenzionale e vigile del suo popolo, Dio aprisse una porta per proclamare la Parola. Sebbene fosse in prigione, la sua richiesta di preghiera non era per un sollievo, ma per una porta aperta per la proclamazione della Parola. Ci sono porte chiuse intorno a noi. Porte individuali, porte culturali, porte burocratiche, porte logistiche, porte ideologiche. Preghiamo per porte aperte per la proclamazione dell’evangelo. La predicazione è una porta aperta. Vediamo nel verso 3 e 4 come Paolo desiderava proclamare il mistero di Cristo, cioè il piano di salvezza di Dio, rivelato ai peccatori e reso possibile solo da Gesù Cristo.

 

Cristocentrica (3). La nostra proclamazione deve essere Cristocentrica, incentrata su Gesù, sulla Sua persona, sulla Sua opera e sulla Sua redenzione. Ogni storia racconta Gesù. Gesù è il vero e migliore Adamo, la cui obbedienza ci è stata imputata (1 Cor. 15). Gesù è il vero e migliore Abele, il cui sangue grida per la nostra assoluzione (Eb. 12:24). Gesù è il vero e migliore Abramo, che obbedì alla chiamata di Dio lasciando tutto ciò che era comodo e familiare. Gesù è il vero e migliore Isacco, che fu sacrificato per tutti noi, dimostrando l'amore di Dio. Gesù è il vero e migliore Giacobbe, che ha lottato con Dio e ha ricevuto il colpo della giustizia per noi. Gesù è il vero e migliore Giuseppe, che perdonò e salvò coloro che lo avevano tradito. Gesù è il vero e migliore Mosè, mediatore di una nuova alleanza, guidandoci fuori dalla schiavitù alla terra promessa della sua presenza (Eb. 3). Gesù è il vero e migliore Davide, la cui vittoria è stata imputata al suo popolo. Gesù è la vera e migliore Ester, che diede la sua vita per salvare il suo popolo. Gesù è il vero e migliore Giona, gettato nella tempesta per salvare gli altri.[1] Gesù è il Buon Samaritano, noi siamo quelli insanguinati sulla strada quando Gesù arriva e ci dà tutto il necessario. Finché non vedremo Gesù come il nostro Buon Samaritano, non saremo mai un buon samaritano. Finché non riconosceremo che Gesù deve essere il nostro vicino, non saremo capace di essere un buon vicino. Preghiamo che la nostra proclamazione sia cristocentrica.

 

Chiara e contestualizzata (4). La nostra proclamazione deve essere chiara e contestualizzata per chi ci ascolta. Il messaggio non deve mai compromettere l’evangelo o indebolirlo, ma deve essere comprensibile e pertinente per i nostri ascoltatori. Ogni sermone che predichiamo deve riflettere la centralità di Cristo, mostrando come Lui sia la risposta a ogni bisogno umano e la speranza per ogni cuore. Come abbiamo visto ieri con le grammatiche dell’espiazione, la nostra proclamazione deve essere chiara e contestualizzata per chi ci ascolta. Dobbiamo cercare di comunicare la verità dell’evangelo in modo semplice e diretto, adattando il nostro linguaggio e i nostri esempi alla cultura e alle esperienze delle persone a cui ci rivolgiamo. In questo modo, il sermone può essere collegato alle persone nelle nostre chiese e alle loro lotte quotidiane, affinché lo Spirito possa penetrare nei loro cuori e trasformare le loro vite. Quanti sermoni sono pieni di un linguaggio sconosciuto all'ascoltatore, profondamente teologico ma difficile da comprendere? Spurgeon una volta commentò: "Cristo ha detto: 'Pasci le mie pecore... Pasci i miei agnelli'." Alcuni predicatori, tuttavia, mettono il cibo così in alto che né le pecore né gli agnelli possono raggiungerlo. Sembra che abbiano letto il testo: "Dai da mangiare alle mie giraffe". Preghiamo che la nostra proclamazione sia chiara e contestualizzata per chi ci ascolta.

 

Con grazia (6a). La nostra proclamazione deve essere fatta con grazia, riflettendo il carattere di Cristo. Le nostre parole devono essere piene di amore, compassione e rispetto. Anche quando correggiamo o ammoniamo, dobbiamo farlo con un atteggiamento di grazia, edificando piuttosto che distruggendo, incoraggiando piuttosto che scoraggiando. Essendo stati trasformati dalla grazia di Dio, i nostri sermoni (e le nostre vite) devono comunicare che solo la grazia di Dio è in grado di portare la vera libertà e la vera trasformazione della vita. Preghiamo che la nostra proclamazione sia fatta con grazia.

 

Condita con sale, Saporita (6b). Le nostre parole devono essere "saporite", come dice Paolo, “condite con sale”. Ciò significa che devono essere interessanti, vivaci e attraenti, in grado di stimolare il pensiero e suscitare una risposta positiva. La saggezza nel parlare rende il nostro messaggio più efficace e memorabile, lasciando un'impressione duratura nel cuore di chi ci ascolta. Dobbiamo parlare dei desideri e degli affetti più profondi del cuore umano peccatore, smascherando la debolezza degli idoli che pretendono di soddisfarli, o che li intrappolano nel loro disincanto e scetticismo verso il cambiamento, e proclamando che solo Cristo è la soluzione di cui ogni cuore ha bisogno, ovvero un cuore rigenerato. Pregiamo che la nostra proclamazione sia condita con sale. Come Leonardo ha condiviso durante la prima sessione, vogliamo proclamare la parola affettivamente/appassionatamente (dal cuore), immaginativamente, meravigliosamente (con meraviglia, destando meraviglia), memorabilmente, Cristocentricamente e praticamente.

 

Conclusione. L’opportunità della predicazione è la nostra porta aperta! Che la pienezza che abbiamo nella nostra unione con Cristo, e la nostra consapevolezza di come Lui stia operando per riversare la grazia su peccatori come noi, si manifesti nel modo in cui viviamo e parliamo alla sua chiesa e al mondo. Che la proclamazione della trasformazione dell’evangelo possa scaturire dalle vite trasformate dell’evangelo. Che la nostra esperienza con la grazia di Dio in Cristo possa sfociare in discorsi gentili a coloro che ci circondano. Che la porta aperta al pulpito ci porti ad essere buoni amministratori del tempo che abbiamo a disposizione. Che possiamo renderci conto, come Paolo, che la preghiera fa la differenza nella comunicazione dell’evangelo. Gesù Cristo era ed è la Parola, la comunicazione definitiva per noi. Affidiamoci a Dio, sapendo che è Lui che apre le porte e rende fruttuoso il nostro ministero. Amen.


[1] Vedi l’articolo “Preaching in a Secular Culture” di Timothy Keller