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Dignitas infinita. Il titolo è idolatrico, il resto è rammendo?

Dignitas infinita è il documento del Dicastero per la dottrina della fede pubblicato il 2/4/2024 con cui il magistero cattolico ha voluto compiere due operazioni. Da un lato, ribadire alcune convinzioni tradizionali del cattolicesimo romano riguardo la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale. Pur con qualche addolcimento nei toni sotto il pontificato di Francesco, Roma ha sempre difeso posizioni tradizionali in bioetica. Dall’altro lato, il documento apre il ventaglio dell’attenzione del magistero dai temi della vita e della morte delle persone a quelli “sociali” della povertà, dei migranti, della guerra, ecc. su cui papa Francesco si è speso molto. In sostanza, la Chiesa di Roma non è interessata solo alla bioetica, ma anche all’etica sociale; non solo all’inizio e alla fine della vita, ma anche alla sua vivibilità sociale.

A collegare bioetica ed etica sociale, per il documento vaticano c’è la dignità umana. Nelle parole dell’introduzione, “una dignità infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere, spetta a ciascuna persona umana, al di là di ogni circostanza e in qualunque stato o situazione si trovi” (n. 1). Il documento cerca di fondare la dignità in senso ontologico, ma cerca pure sponde nell’argomentazione filosofica di Locke e Kant che della persona hanno altre concezioni antropologiche, pur usando il linguaggio della dignità. Considera la “dignità umana” sancita dalla “Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo” (1948) un punto da difendere non chiedendosi perché molti fans della “Dichiarazione” sostengano pure l’aborto, l’eutanasia e le teorie gender. Infine, alcune gravi violazioni della dignità umana sono brevemente trattate: il dramma della povertà, la guerra, i migranti, la tratta delle persone, gli abusi sessuali, l’aborto, la maternità surrogata, l’eutanasia e il suicidio assistito, lo scarto dei diversamente abili, le teorie del gender, il cambio di sesso e la violenza digitale.

In questo doppio fuoco, gli osservatori progressisti hanno lodato l’enfasi sui diritti sociali, ma lamentato la ripresentazione delle posizioni conservatrici in bioetica. Al contrario, gli osservatori tradizionalisti hanno sottolineato che la Chiesa cattolica non cambia il suo magistero su temi sensibili quali aborto ed eutanasia, ma hanno espresso perplessità sulla presa di posizione vaticana sui migranti e la povertà, argomenti discussi anche in ambito cattolico. 

Un osservatore laico (ma ateo devoto) come Marcello Pera ha definito il documento un “vistoso rammendo” dopo gli strappi del magistero recente sulle benedizioni alle coppie omosessuali (2023) e dello spostamento generale nelle argomentazioni cattoliche da categorie metafisiche a quelle di ordine “popolare” ed esistenziale. Sembra che, dopo uno sbilanciamento verso posizioni aperturiste e strizzanti l’occhio all’ala progressista, “Dignitas infinita” voglia dire che la Chiesa cattolica si apre a sinistra senza scoprirsi a destra, fa sue nuove istanze senza abbandonare le vecchie. In altre parole, il documento è pensabile come un tentativo di portare la barra al centro, dopo le sbandate degli ultimi anni.

Un punto su cui non si è discusso abbastanza e che invece dovrebbe saltare subito all’occhio è il titolo: la dignità “infinita”. A pensarci bene, è un titolo abnorme, spropositato, direi di più: idolatrico. La dignità umana è detta infinita: senza limiti, senza criteri esterni, senza inizio e senza fine. Ma siamo sicuri che di “infinito” non ci sia solo la gloria di Dio e che tutto il resto (anche la vita umana!) sia pensabile e vivibile nell’ambito del “finito”?

Dio è il Creatore, noi siamo creature. Lui è infinito, noi siamo finiti. La sua vita è infinita, la nostra è finita. Per quanto importante e da vivere responsabilmente, non siamo portatori di una dignità infinita. Solo Dio lo è non perché qualcuno gliel'ha riconosciuta, ma perché Lui è Dio. In gioco c’è la distinzione fondamentale tra Creatore e creatura, che è un cardine della visione biblica del mondo. Anzi, per la Bibbia, il peccato umano è proprio “voler essere come Dio” (Genesi 3,5) e quindi di idolatrare sé stessi. Si potrebbe dire che attribuire dignità infinita alla persona è un’operazione idolatrica che nulla ha a che vedere con l’etica cristiana. Nonostante il fatto che il documento vaticano voglia difendere la vita, il modo in cui lo fa rivela motivi di fondo non cristiani.

Nella seconda metà del Novecento l’etica cattolica ha avuto un’inclinazione “biolatrica”, elevando il bios ad assoluto. Un tempo si parlava di “sacralità della vita”. Oggi l’etica cattolica parla di “dignità infinita”. E’ cambiato il linguaggio, ma la matrice ideologica no. Il fatto che il documento ricordi che l’espressione “dignitas infinita” fu usata da Giovanni Paolo II in un discorso del 1980 conferma che il grave errore non è farina del sacco di Francesco solo, ma è un lievito malsano presente nella pasta del pensiero cattolico.

La fede biblica, sin dalla narrazione della Genesi ed in tutto l’arco della rivelazione, è portatrice di una valorizzazione della vita in quanto creata da Dio e, allo stesso tempo, della sua finitudine. Il bios non è il centro esclusivo che definisce l’umanità, ma è parte integrante di una rete identitaria composita. D’altra parte, pur avendo Dio dato “dignità” alle creature, nessuna di loro ne possiede una “infinita”. Solo Dio ce l’ha. Dalla “sacralità della vita” alla “dignità infinita”, l’errore teologico di fondo dell’etica cattolica rimane. Biblicamente, la vita va difesa e promossa con altre categorie che riconoscano nella vita un dono prezioso e finito, sempre sotto e dentro l’infinita provvidenza di Dio.


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