La donna melonensis e i problemi della femminilità
Le vicende che hanno visto coinvolti la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo decennale compagno Andrea Giambruno hanno sollecitato riflessioni di ogni tipo: dal politico al gossip, dall’ipotesi di reato per molestie al problema culturale fino alla legittimità di alcune pratiche dei media. Sorvolando il rumore di tanti commenti, è evidente che la vicenda solleva quesiti, ad esempio su quale sia l’idea di famiglia che sottende.
Dopo aver provato ad entrare nella storia partendo da lui in quanto prototipo dell’homo giambrunensis, va fatta qualche riflessione speculare sulla donna melonensis.
Prima di tutto va detto che la donna melonensis, di solito, non è presidente del Consiglio. Nell’annuncio della separazione avvenuto con un post pubblico, c’è stata soprattutto la volontà di non vedersi indebolita e screditata come figura politica. Nonostante le peculiarità della situazione specifica, però, la presunta inscalfibilità è caratteristica della donna melonensis.
La donna melonensis è la donna contemporanea la cui intenzione è quella di emanciparsi dalla figura e dal ruolo che la donna ha avuto fino ad ora. È la donna che pensa di non volersi far ingabbiare in relazioni matrimoniali stabili, che non mette la propria libertà nelle mani di un uomo e che non mette in discussione il proprio percorso se entra in una relazione. La donna melonensis è quella che non deve chiedere mai, che pensa di essere pietra inscalfibile e che va dritta per la sua strada. È la donna che si pensa libera! La maternità è un obiettivo personale e il compagno è corredo in un progetto di vita che riguarda prima di tutto sé stessa. Se un figlio arriva, resta un progetto individuale da poter continuare con o senza la presenza del compagno.
Meloni stessa, dovendo definire la sua identità durante l’ormai celebre comizio spagnolo, si è presentata come Giorgia, una donna, una madre, italiana e cristiana. Nonostante stesse difendendo i cosiddetti valori tradizionali e conservatori, non ha sentito la necessità di aggiungere compagna o moglie alla lista. Nessun tipo di stabilità relazionale accompagna il passaggio da donna a madre e questo racconta molto del profilo della donna melonensis.
Nonostante questo, la donna melonensis è alla ricerca di relazioni sentimentali. I criteri di ricerca sono le soddisfazioni delle esigenze momentanee e personali più che la lungimiranza verso la costruzione di una famiglia e di un uomo che possa garantire solidità, stabilità e leadership. È a questo punto che la donna melonensis incontra l’uomo giambrunensis e, dati i presupposti, i risultati sono disastrosi soprattutto e specialmente per i figli, quando ci sono.
La vicenda della Meloni è stata usata per dire che, dato che il modello della famiglia tradizionale (uomo-donna-bambino) non funziona neanche per chi lo promuove come valore politico, allora è evidente che bisogna aprire a modelli queer e ancora più fluidi. Niente di più falso. La famiglia composta dalla donna melonensis e dall’uomo giambrunensis è già una famiglia fluida in un certo senso: una relazione non meglio definita, che si basa sui sentimenti e i bollori volubili dei due, e che vede i due componenti viaggiare su binari paralleli che non si incrociano e non si adattano al percorso dell’altro.
Questo modello alimenta mascolinità tossiche indisponibili alla presa di responsabilità e femminilità altrettanto problematiche che reputano anatema il concetto biblico di sottomissione.
Più che di famiglie tradizionali, allora il problema è portare, con una riforma del Vangelo in Italia, al centro della discussione la vocazione alla mascolinità e alla femminilità biblica [1]: una famiglia dove la mascolinità e la femminilità non viaggiano su due strade parallele che ad un certo punto si dividono, ma scelgono di viaggiare sulla stessa strada, che forse può cambiare percorso ma insieme, che non difendono ciò che è stato ma ciò che vogliono essere insieme, che non fanno dei figli la cosa più importante della vita ma che sanno che la cosa più importante per la vita dei figli è la loro unità, il cui obiettivo primario non è la propria crescita personale a scapito dell’altro ma la crescita reciproca e che non temono di indebolirsi per il bene dell’altro. Non certo una famiglia tradizionale, ma una in cui la mascolinità e la femminilità sono riorientate dalla luce del Vangelo.
[1] Si veda il documento “Femminilità e complementarità. Dichiarazione finale delle Giornate teologiche 2006”, Studi di teologia – Suppl. N. 12 (2014) pp. 39-45.