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Estetica della cattolicità romana. Una lettura teologica della Stanza della Segnatura

Non c’è bisogno di sottolineare il fatto che Raffaello sia stato un genio artistico di rilievo assoluto nella cultura di tutti i tempi. La mostra “Raffaello 1520-1483” ha dato l’opportunità di misurarsi con la sua pittura ed è stata una straordinaria occasione di provare ad entrare nel suo universo. Io non ho alcuna competenza da storico dell’arte e quindi non proverò a scimmiottare la figura dell’esperto. Il mio interesse è principalmente teologico e cercherò di suggerire una lettura “teologica” di uno dei capolavori di Raffaello. Si tratta di due dipinti all’interno della Stanza della Segnatura collocata negli appartamenti papali, oggi parte integrante dei Musei Vaticani e tra sue le opere più ammirate. 

1. Raffaello dipinse la Stanza della Segnatura su commissione di Papa Giulio II nel 1509. I due affreschi di cui ci occuperemo sono la “Scuola di Atene” e la “Disputa sul sacramento” (talvolta anche chiamata “Il trionfo della religione”). La tesi che voglio suggerire e provare ad argomentare è che in questa Stanza e, in particolare, in questi due affreschi abbiamo di fronte una rappresentazione tardo-rinascimentale di una visione teologica ricca, raffinata e profonda. E’ la teologia del cattolicesimo romano rappresentata ad un livello artistico eccelso e con una penetrazione straordinaria al punto da diventare una icona nell’immaginario collettivo della religiosità occidentale. 

Certamente, la visione del mondo cattolica è scritta anche in testi di concili, libri, encicliche e catechismi ad opera di teologi, cardinali e papi. Possiamo pensare a Tommaso d’Aquino (1225-1274), riconosciuto da papa Leone XIII come il teologo per eccellenza della chiesa di Roma di tutti i tempi (Aeterni patris 1879), o a Roberto Bellarmino (1542-1621) che si impegnò allo spasimo per irrobustire le strutture dottrinali del cattolicesimo contro le istanze della Riforma protestante o al Catechismo della chiesa cattolica (1992) redatto sotto la supervisione dell’allora card. Joseph Ratzinger e promulgato da Giovanni Paolo II. E’ in queste opere, tra le altre, che troviamo la visione del mondo cattolica esposta e argomentata. Inoltre, il cattolicesimo si manifesta nelle sue pratiche liturgiche, nei suoi riti, nelle sue tradizioni popolari. Anche questa è una finestra rivelatrice. Eppure, come ogni altra visione del mondo, c’è anche il registro artistico in cui Raffaello ha dato un contributo eminente. Sono gli artisti che, creando immagini e raffigurando la realtà, trasmettono emozioni e conoscenza che toccano corde profonde solo in parte raggiunte dall’argomentazione e dall’esperienza liturgica. 

Il Cinquecento ci ha consegnato una versione dottrinale del cattolicesimo romano con i decreti e i canoni del Concilio di Trento (1542-1563) e col Catechismo tridentino, ma ci ha anche consegnato una raffigurazione estetica del cattolicesimo nella Stanza della Segnatura. Tra i suoi numerosi capolavori, Raffaello dipinse molti quadri ed affreschi di forte interesse religioso. Si pensi alle tante Madonne con bambino o ai due angeli nella Madonna Sistina o alla Trasfigurazione: la mescolanza di richiami biblici e di credenze della tradizione, tipica del cattolicesimo romano, trova in Raffaello un artista che ha contributo all’approfondimento e alla fissazione dell’immaginario cattolico. 

Ciò è particolarmente vero nella Stanza della Segnatura negli appartamenti papali del Palazzo vaticano. Senza nessuna pretesa da storico dell’arte, vorrei accompagnarvi in punta di piedi a leggere teologicamente questi affreschi. Prima di entrare nell’analisi, una domanda da porsi è quali siano state le fonti teologiche che hanno ispirato Raffaello. Lui è stato un artista eccezionale, ma non un teologo. Eppure la Stanza ha una teologia ampissima e raffinatissima. Certamente non possiamo entrare nel complesso impasto della cultura teologica tardo-rinascimentale, ma una cosa possiamo dire con certezza. 

Negli ultimi 50 anni gli studiosi si sono soffermati sulla figura di Egidio da Viterbo (1469-1532) e sul suo rapporto con Raffaello. Egidio fu un teologo agostiniano, poi diventato cardinale (tra l’altro, Giulio II lo avrebbe incaricato di tenere la prolusione al Concilio Lateranense V nel 1512), che interpretava a suo modo l’esigenza di riforma religiosa che si respirava in quegli anni anche a Roma. Tra l’altro, Egidio aveva incontrato Lutero a Viterbo mentre il monaco agostiniano tedesco si stava dirigendo a Roma nel 1511. Dotato di grandi capacità oratorie, nel 1507 Egidio tenne un discorso che avrebbe lasciato una profonda impressione: il “De aetate aurea”. Anche Raffaello lo lesse e ne fu influenzato al punto che questo discorso diventò l’incubatore della Stanza dipinta due anni dopo. Gli studiosi (F.X Martin, J. O’Malley, G. Polo) ritengono che dietro e dentro la visione teologica della Stanza della Segnatura ci sia proprio “L’età dell’oro” di Egidio da Viterbo. 

Cosa sosteneva Egidio? Sosteneva la tesi secondo cui sotto il papato di Giulio II la chiesa avesse raggiunto l’età aurea in cui tutte le tappe delle civiltà precedenti avevano trovato il loro apogeo. L’età etrusca, greca, romana, islamica, ecc. erano ora confluite nell’età della chiesa romana, ognuna portando il suo contributo. La chiesa aveva raccolto tutto il portato culturale proveniente da tutte le tappe precedenti e trasfigurato la loro somma nelle sue liturgie, nei suoi dogmi e nelle sue strutture. La chiesa era il compimento di tutto. Nella chiesa la natura era stata elevata dalla grazia. Nella chiesa la cultura era stata assorbita dalla grazia e inverata.  

Quello che Egidio espose nel “De aetate aurea”, Raffaello interpretò figurativamente nei due affreschi della Stanza. Da un lato, Raffaello dipinge la Scuola di Atene che raffigura l’ampiezza della cattolicità romana nell’ereditare tutta la cultura pre-cristiana e non-cristiana. 

2. Entro una grandiosa architettura rinascimentale (in cui si intravedono le volte della basiliche di Massenzio, la struttura della basilica di San Pietro e in fondo l’Arco di Giano Quadrifronte), si muovono 58 figure che leggono, parlano, pensano, si confrontano. Alcuni in gruppo, altri isolati. Ci sono libri, mappamondi, strumenti di misurazione. Sono rappresentati in modo intenzionale i più celebri filosofi dell’antichità, alcuni dei quali sono facilmente riconoscibili: al centro Platone, che punta con un dito verso l'alto e tiene in mano il suo libro Timeo, fiancheggiato da Aristotele con l’Etica; Pitagora è invece raffigurato in primo piano intento a spiegare sul libro il diatesseron; sdraiato sulle scale con la scodella è Diogene, mentre appoggiato ad un blocco di marmo, intento a scrivere su un foglio, è il filosofo pessimista Eraclito, che ha i tratti di Michelangelo. C’è anche Averroé (col turbante), filosofo islamico medievale a testimonianza dell’estensione della cattolicità anche al di fuori del cristianesimo. Sulla destra sono visibili Euclide, che insegna geometria agli allievi, Zoroastro con il globo celeste, Tolomeo con quello terrestre, e infine, all'estrema destra, nel personaggio con il berretto nero è l’autoritratto di Raffaello. L’artista si pensa all’interno di questa comunità rappresentante la cultura umana in tutta la sua estensione storica, geografica, intellettuale, tecnologica e religiosa (pre-cristiana ed extra-cristiana). 

Non ogni personaggio deve essere associato ad una figura storica. Per secoli gli studiosi si sono sforzati di interpretare allegoricamente l’affresco come se ad ogni figura corrispondesse un personaggio specifico. Il consenso attuale riconosce invece il fatto che Raffaello abbia voluto rappresentare un centro focale (la coppia Aristotele-Platone) e qualche figura riconoscibile (con oggetti iconograficamente associati a loro) lasciando le altre come “anonimi” rappresentanti della cultura antica. Il punto teologico dell’affresco è di rappresentare la varietà e la diversità della cultura che la chiesa fa propria nella sua interezza. 

3. Sulla parete opposta della Stanza c’è l'affresco del cosiddetto “Trionfo della religione” (o Disputa sul sacramento). L’affresco è un inno al trionfo della comprensione cattolica della chiesa fondata sulla presenza reale di Cristo nel sacramento eucaristico che è il centro di tutto. Ai lati della Trinità (con Dio Padre, il Cristo tra la Vergine e Giovanni Battista, e lo Spirito Santo disposti in asse al centro) si dispone la Chiesa Trionfante, con patriarchi e profeti dell'Antico Testamento alternati ad apostoli e martiri, seduti in emiciclo sulle nubi. I personaggi sono (da sinistra a destra per lo spettatore): Pietro, Adamo, Giovanni Evangelista, Davide, Lorenzo, Giuda Maccabeo (?), Stefano, Mosè, Giacomo, Abramo e Paolo. Sulla terra, ai lati dell'altare su cui domina il sacramento, si dispone la Chiesa Militante. Sui troni di marmo più vicini all'altare siedono quattro Padri della Chiesa latina: Gregorio Magno (con i tratti di Giulio II), Girolamo, Ambrogio e Agostino. Altre figure hanno la fisionomia di personaggi storici: si riconoscono i ritratti di Sisto IV (zio di Giulio II) nel pontefice più a destra, di Dante Alighieri alle sue spalle, del Beato Angelico nel frate all'estremità sinistra. Come abbiamo visto, Raffaello si pensa come parte del mondo della cultura, più che membro della chiesa. In ogni caso, tutto il mondo della cultura viene assimilato nel trionfo della chiesa cattolica romana. Da questa immagine della chiesa trionfante e potente, celeste e terrestre, umana e divina (teandrica), strutturata e potente, la chiesa romana avrebbe sviluppato, dopo il Concilio di Trento, l’idea che la chiesa è la “societas perfecta”, la società perfetta, in cui le imperfezioni delle altre società (famiglia, comunità politiche, chiese non cattoliche, ecc.) vengono elevate ad un livello più alto. La grazia eleva la natura/cultura e la chiesa è il soggetto che permette questa elevazione del tutto. 

Il centro di tutto è l’eucaristia, “fonte e culmine” della fede cattolica, punto di collegamento tra la chiesa celeste e quella terrena. L’eucaristia non è il Gesù Cristo della Bibbia, ma il Cristo eucaristico della Chiesa. E’ la chiesa che con i suoi sacerdoti attua la trasformazione sacramentale del pane comune in presenza reale di Cristo. E’ la chiesa che assorbe la cultura umana e la ingrazia. L’affresco sembra essere teocentrico, ma in realtà è molto più ecclesiocentrico. La chiesa romana non sceglie tra Platone e Aristotele: li incamera entrambi. Non rigetta la cultura pre-cristiana e non-cristiana: la assimila tutta. Non si sente un soggetto umile e in trasformazione secondo l’evangelo di Gesù Cristo, ma una società perfetta che trasfigura il mondo mediante la sua sacramentalità.  

Più e meglio dei teologi di professione, Raffaello ha rappresentato la visione del cattolicesimo romano nella sua profondità e sinuosità. La Stanza della Segnatura contiene l’universo simbolico del cattolicesimo romano: la sua cattolicità onnivora e la sua alta concezione di sé come chiesa perfetta, autoreferenziale e graziante. 

Torniamo a Egidio da Viterbo, l’ispiratore di Raffaello con la sua orazione “De aetate aurea”. Nel 1511, Egidio ospitò il frate tedesco Martin Lutero nella tappa viterbese del suo viaggio verso Roma. Come sappiamo, anche Lutero era interessato al rinnovamento della chiesa, anche se avrebbe sviluppato un’idea radicalmente diversa da Egidio su quali fossero i problemi della chiesa e sui rimedi necessari. Per Lutero la chiesa non aveva raggiunto l’età dell’oro ma, al contrario, era caduta nella “cattività babilonese”, in un tempo di apostasia. Aveva perso contatto con la Parola di Dio e si era troppo concentrata su un’alta concezione di sé. Aveva requisito la gratuità della salvezza di Cristo e l’aveva monopolizzata all’interno del suo sistema sacramentale. 

La Riforma luterana fu un appello a riscoprire l’evangelo biblico, incentrato sulla Bibbia soltanto, al servizio dell’Iddio uno e trino, accogliendo come liberazione una visione umile e modesta della chiesa, come serva della Parola e popolo di Dio in cammino. Lutero non fu un pittore e non esiste un affresco da mettere in parallelo alla Stanza raffaellesca. A suo modo fu un musicista ed è con una strofa di un suo famoso inno che concludiamo. In Ein feste Burg ist unser Gott (Forte rocca è il nostro Dio, 1527-1529) Lutero scrive:

È perduto immantinente,
Quei che solo in sé confida.
Per noi pugna un Uom possente,
Che Dio scelse a nostra guida.
Chi sia, domandi tu,
Egli è Cristo Gesù,
Nostro Signore.
Da Lui vigor ne viene,
La vittoria in man Ei tiene

Per Lutero, la cultura umana era attraversata da un problema fondamentale e sistemico: la ribellione contro Dio e il peccato umano. Fare affidamento su di essa avrebbe portato alla perdizione. Non si poteva semplicemente assorbirla senza averla passata al setaccio critico dell’evangelo. Inoltre, per Lutero l’evangelo aveva come centro la persona e l’opera di Gesù Cristo, il profeta di Dio che proclama la verità, il sacerdote di Dio che è morto in croce ed è risorto, il re divino a cui tutto e tutti dovranno rendere conto. La chiesa era al servizio di Gesù Cristo, non la dispensatrice della sua grazia tramite la gerarchia e i sacramenti. 

Raffaello fu influenzato Egidio da Viterbo e fu al servizio di papa Giulio II. La sua prospettiva fu quindi “interna” a quel mondo. La Stanza della Segnatura simboleggia la visione del cattolicesimo romano nel suo significato teologico più profondo e l’ha impressa nell’immaginario religioso in modo indelebile, più e meglio di tanti libri di teologia. Ancora oggi, a distanza di 500 anni, Raffaello (tramite Egidio) e Lutero ci interpellano sul senso delle parole di Gesù quando disse: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14,6). E’ la chiesa che porta al Padre o è Gesù Cristo e Lui soltanto?


 Bibliografia

Andrea Emiliani – Michela Scolaro, Raffaello. La Stanza della Segnatura, Milano, Electa 2002.

Ernst H. Gombrich, “Raphael's Stanza della Segnatura and the Nature of its Symbolism” in Id., Symbolic Images. Studies in the art of the Renaissance II, Oxford, Phaidon 1978 (1972) pp. 85-101.

Marcia Hall (ed.), Raphael's 'School of Athens', Cambridge, Cambridge University Press 1997.

Francis X. Martin, Friar, Reformer, and Renaissance Scholar: Life and Work of Giles of Viterbo 1469-1532, Villanova, Augustinian Press 1992.

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John O’Malley, Giles of Viterbo on Church and Reform: A Study in Renaissance Thought, Leiden, E.J. Brill 1968.

John O’Malley, “Historical Thought and the Reform Crisis of the Early Sixteenth Century”, Theological Studies 28 (1967) pp. 531-548.

Antonio Paolucci, Raffaello in Vaticano, Firenze, Giunti 2013.

Gavino Polo, “Egidio da Viterbo e Raffaello”, Biblioteca e Società XI (1982/1-2) pp. 21-22.

Giovanni Reale, La scuola di Atene di Raffaello, Milano, Bompiani 2005.

John Shearman, “The Vatican Stanze: Functions and Decoration” (1971) in G. Holmes (ed.), Art and Politics in Renaissance Italy. British Academy Lectures, New York, The British Academy and Oxford University Press 1993.

 

(testo della conferenza tenuta all’Istituto di Cultura Evangelica e Documentazione di Roma il 30 agosto 2020)


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