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Fede e cibo (VI). Cosa dire delle disfunzioni alimentari?

Anoressia, bulimia, binge eating sono parole ormai entrate nel linguaggio comune e sono una parte dell’esperienza che, direttamente o indirettamente, ognuno ha. I disturbi alimentari sono pervasivi nella nostra società e sempre più persone ne soffrono.

Affrontare il tema “Cibo e fede” come è stato fatto in occasione della trentacinquesima edizione delle Giornate Teologiche dell’IFED di Padova, vuol dire anche indagare questo campo tenendo insieme i condizionamenti sociali e le prospettive bibliche. A parlarne sono stati Leonardo De Chirico, professore di Teologia storica all’IFED e Patrizia Catellani, docente di Psicologia Sociale presso l’Università Cattolica di Milano.

Quest’ultima ha parlato in particolare della stretta connessione tra il comportamento alimentare e le dimensioni comportamentali, sociali, valoriali, cognitive ed emotive del singolo individuo. Catellani ha spiegato il modo in cui la psicologia sociale contemporanea sia volta all’analisi dei comportamenti alimentari al fine della promozione di un’alimentazione sana, sostenibile e volta al miglioramento del benessere della persona. Le scelte alimentari dicono molto dell’identità del singolo. Nella società si sta assistendo ad una intensificazione di fenomeni di alta conflittualità proprio legati al fattore cibo: vegani contro onnivori, km0 contro globalisti, tradizionalisti contro fusionisti, sostenitori di una dietra piuttosto che un’altra, ecc.

Nella sua presentazione, De Chirico ha esordito dicendo che la Bibbia contiene un “campionario vastissimo di abusi in relazione ai comportamenti che coinvolgono il cibo”. Nella Scrittura, infatti, non si fa mistero del fatto che le “cose buone” di Dio siano state bacate dal peccato. Si entra in un vicolo cieco quando, tuttavia, ci si avvale della “carta demologica” come strumento di interpretazione delle “disfunzioni alimentari” (Matteo 11,16-19) e quando, al contrario, si espunge la dimensione spirituale dalla lettura degli scompensi, appiattendo tutto sulla scienza nutrizionistica o psicologica. Ogni riduzionismo va evitato poiché conduce ad una lettura semplicistica, apodittica, manichea.

La direzione da esplorare è quella che, evitando le semplificazioni, ritiene imprescindibile la lettura delle disfunzioni alimentari anche come anche “questioni spirituali”, in quanto il rapporto con il cibo riflette anche una rottura nel rapporto con Dio (Esodo 16,3; Ezechiele 34,2-10; Ezechiele 34,16; 1 Corinzi 11,21). In questi passaggi, infatti, i problemi col cibo in eccesso o in difetto emergono come esempi di irrequietezza, ribellione, di scompenso spirituale, di rottura profonda, di disordine e di disfunzionalità ecclesiale.

L’approdo a cui il seguace di Cristo deve tendere è, pertanto, il retto mangiare, una sorta di “ortofagia”. L’autocontrollo, la sobrietà, la temperanza devono connotare le vite vissute alla sequela di Cristo. Il retto mangiare è un contributo al cammino regale di santificazione personale, familiare ed ecclesiale. Ed è proprio la Chiesa ad essere il terreno idoneo a configurarsi come spazio in cui guarire ed essere educati ed in cui, come unico corpo, si possa “mangiare insieme alla gloria di Dio”.

Dopo essersi occupata giustamente della “ortodossia” (retto credere), poi della “ortopatia” (retto sentire), per della “ortoprassi” (retto agire), la chiesa non dovrebbe anche considerare le sue responsabilità nel promuovere la “ortofagia” (retto mangiare) ed essere una comunità di guarigione dalle disfunzioni alimentare e condivisione redenta del cibo? 

(continua)

 

Della stessa serie:
Fede e cibo (I): “Just follow the food” e le Giornate teologiche 2023
Fede e cibo (II): una teologia biblica del pane e del vino
Fede e cibo (III): perché il Levitico proibisce di mangiare alcuni animali?
Fede e cibo (IV). Il cibo specchio della comunità
Fede e cibo (V). Mangiare e digiunare in tre libri


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