Firenze e Rinascimento (II). In ascolto di Hans Rookmaaker
Prima di trovarsi ai piedi del David nella Galleria dell’Accademia, si deve percorrere un largo corridoio dove sono esposte altre statue di Michelangelo. La peculiarità sta nel fatto che sono quattro opere incomplete. Soprannominate “prigioni”, esse erano state progettate per la tomba di papa Giulio II, ora in San Pietro in Vincoli a Roma. A proposito di queste statue, ne parla Hans Rookmaaker in Western Art and the Meanderings of a Culture, il quarto volume della collana curata dalla figlia.
Secondo Rookmaaker, le statue celano molto più di quello che potrebbe sembrare. L’evidente contorsione e affanno di quelli che sono stati definiti schiavi (al Louvre ce ne sono altri due, questa volta finiti), rivela il pensiero filosofico dell’artista. Gli schiavi, infatti, si stanno dimenando non perché anelano una libertà sociale, ma una corporea. In linea con la filosofia neoplatonica, riportata in auge da Marsilio Ficino (1433-1499), le prigioni sono il corpo marmoreo nel quale gli uomini si ritrovano a vivere come schiavi. La vera “vita” è quella al di fuori del corpo, dove l’anima leggiadra può raggiungere i luoghi ameni del divino unendosi ad esso attraverso la contemplazione e la purificazione intellettuale.
Bisogna tenere conto che la cultura neoplatonica di Michelangelo non era un aspetto isolato, ma un pensiero che aveva influenzato la maggior parte dei suoi contemporanei e intellettuali prima di lui. Basti pensare alla Primavera del Botticelli, dove i tre personaggi a destra del dipinto rappresentano tre concetti chiave del neoplatonismo: amore/desiderio, castità e bellezza. Attraverso la loro contemplazione, si pensava che l’uomo fosse in grado di ascendere verso l’Uno impersonale, collocato aldilà della realtà materiale e grezza.
Complementare alla Primavera è la Nascita di Venere. Se nel primo dipinto notiamo al centro una Venere umana e terrena, nella seconda opera la Venere rappresentata è quella aulica e mistica. Una è materiale, l’altra è spirituale. Una è di questo mondo imperfetto, l’altra appartiene al mondo perfetto delle idee. Basta concentrarsi su un altro fiorentino vissuto secoli prima per vedere come questo modo di pensare avesse realmente impattato la sua realtà quotidiana. Stiamo parlando di Dante Alighieri.
Infatti, Francis Schaeffer in How then Shall we live? nota lo stesso dualismo materia-spirito nel poeta e la sua vita relazionale. Seppur sposato, egli anelava una relazione con Beatrice. Sua moglie, alla quale non dedicò nemmeno una strofa, rappresentava l’amore terreno che doveva essere sostituito da quello spirituale e ideale di Beatrice. Così per Petrarca con Laura e Boccaccio con Fiammetta. Si tratta di uomini irrequieti che anelavano qualcosa di superiore, accontentandosi amaramente delle persone che avevano accanto.
Queste poche righe ci hanno dato prova di come una determinata comprensione della realtà abbia inevitabilmente delle conseguenze sul nostro modo di scolpire, dipingere e vivere la vita di ogni giorno. Per i summenzionati, per usare altri termini, la natura era da scartare in toto, mentre la grazia doveva essere perseguita in un altro “mondo”. Diversamente dalla filosofia neoplatonica, la Parola ci insegna invece che la buona natura di Dio è stata corrotta dal peccato ed è stata ristorata per mezzo della grazia di Dio in Cristo Gesù. I credenti santificano ogni aspetto della vita, arte compresa, non in attesa di evadere la realtà, ma attendendo la sua totale restaurazione già inaugurata in Cristo.