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Fratelli coltelli. Il ruolo della religione ortodossa nella guerra russo-ucraina

Come è possibile che la chiesa ortodossa russa legittimi e sostenga l’invasione russa dell’Ucraina i cui abitanti sono in maggioranza ortodossi? Come spiegare i discorsi apocalittici del Patriarca Kirill che aizza gli animi alla guerra contro un Paese confinante considerato “fratello” anche dal punto di vista religioso? Non sempre i nostri canali di informazione aiutano ad approfondire le vicende internazionali. Quando c’è di mezzo la religione, la superficialità ed il menefreghismo imperano.

Per questa ragione è stato utile partecipare alla conferenza pubblica tenuta dal prof. Christopher Korten all’American University of Rome il 16/11. Storico specialista della Russia, Korten ha inquadrato in chiave storica il ruolo della religione ortodossa nella costruzione dell’identità profonda della Russia. Questa cornice è essenziale per cercare di addentrarsi nelle tragiche vicende attuali.

Partendo dai tentativi di Pietro il Grande (1672-1725) di integrare la religione ortodossa come parte dello Stato, è stato lo zar Nicola I (1796-1855) a promuovere la concezione dell’identità russa come basata su tre pilastri: l’autocrazia, la nazione e l’ortodossia. La chiesa ortodossa russa è stata allora concepita come soggetto integrato alle istituzioni statali e la religione ortodossa come marcatore identitario dell’essere russo. Estranea a questa costruzione ideologica è la laicità dello stato e la libertà religiosa. Se l’ortodossia è un ingrediente essenziale per definire chi sia russo, è chiaro che non c’è spazio concettuale per il pluralismo religioso e nemmeno per una versione dell’identità russa in cui la religione non abbia un ruolo dirimente.

La rivoluzione bolscevica e il comunismo sovietico novecentesco hanno provato a sradicare la religione dall’animo russo e a marginalizzare la chiesa ortodossa. Invano. La caduta dell’URSS ha visto la ripresa dell’influenza dell’ortodossia nella società russa. Putin, nato comunista e sovietico, è ora il presidente che si identifica con la chiesa ortodossa e il Patriarca è la spalla religiosa di Putin. Dopo la parentesi comunista, il binomio Stato-chiesa è stato ricostituito e la simbiosi è stata ripristinata. Come ai tempi dello zar Nicola I, l’identità russa mescola nazione e ortodossia in un tutt’uno.

Dopo la caduta dell’URSS, la chiesa ortodossa russa si è prefissata di restaurare le fondamenta morali della nazione russa svuotate dall’ateismo comunista. Essa ha coltivato un rapporto particolare con l’esercito, volendone motivare l’azione sul piano religioso. A ben guardare, nell’immaginario pubblico dell’esercito la presenza del clero ortodossa è massiccia. Non sorprende allora che il Patriarca Kirill faccia discorsi a sostegno dell’azione militare e dell’invasione dell’Ucraina, mescolando argomenti morali con altri nazionalistici, il tutto condito dall’ideologia dell’identità russa ora “minacciata” dall’Occidente che vorrebbe disgregarla. L’Ucraina occidentalizzata è stata vista come un serio e vicino pericolo per l’identità russa. Per questo la chiesa ortodossa russa è scesa in campo in modo militante. 

Per quanto compatta sembra all’esterno, in realtà la simbiosi chiesa-stato e nazione-religione ortodossa conosce un’erosione interna crescente. Soprattutto nelle grandi aree metropolitane (Mosca e San Pietroburgo) e tra i giovani, l’insofferenza verso il blocco ideologico imposto dalla coppia chiesa-stato è in aumento. Questo è un fenomeno che potrà riservare cambiamenti significativi nei prossimi anni e decenni.

Non è facile entrare nell’universo storico e simbolico della Russia. Inoltre, gli evangelici in Russia sono una minoranza che è stata osteggiata prima dall’ideologia zarista della Russia ortodossa, poi dal comunismo ateo e ora dal clima di coesione tra Putin e Kirill. Sarebbe interessante capire cosa gli evangelici russi pensino dell’identità russa: davvero per essere russo uno deve essere nazionalista e ortodosso?


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