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Girolamo Zanchi (1516–1590), il pressocché sconosciuto riformatore bergamasco

Quando si parla di Riforma protestante i primi nomi evocati sono solitamente quelli di Martin Lutero, Ulrico Zwingli e Giovanni Calvino. Raramente si fa riferimento a personaggi italiani dato che, com’è risaputo, nel ‘500 e ‘600 la morsa delle persecuzioni cattoliche lasciò ben poco spazio all’adesione protestante nel nostro territorio. Chi si convertiva a questa corrente, nuova nella forma ma antica nella sostanza, pur di non rinnegare o nascondere la propria fede, doveva inevitabilmente oltrepassare i confini italiani per continuare a vivere e operare alla luce della teologia acquisita.

Questo fu il caso, tra gli altri, di Girolamo Zanchi, nato ad Alzano Lombardo nel 1516. Dopo essere entrato nel convento dell’Ordine dei Canonici Lateranensi a Bergamo e aver studiato a Padova immergendosi nella filosofia aristotelica e nella teologia scolastica, venne mandato nel 1541 al convento di S. Frediano di Lucca per esercitare il ruolo di predicatore. Qui conobbe futuri personaggi protestanti del calibro di Pietro Martire Vermigli, Celso Martinengo e Paolo Lazise, i quali lo influenzarono considerevolmente attraverso il loro insegnamento. In questo lasso di tempo Zanchi approfondì lo studio dei Padri della chiesa e si avvicinò nel frattanto alla teologia riformata.

Nel 1542 venne fondato il Sant’Uffizio e cominciarono i primi processi per eresia. Uno dopo l’altro, i compagni di Zanchi dovettero abbandonare repentinamente la madrepatria: prima Vermigli verso Zurigo, poi Lazise a Strasburgo e Martinengo nei Grigioni. Anche il Nostro, che nel frattempo si era convertito alla fede protestante attraverso i testi di Calvino e Bucero, fu costretto intorno al 1551 a emigrare prima verso i Grigioni poi a Ginevra. Lì ebbe modo di dedicarsi interamente allo studio dell’ebraico e della Scrittura, oltreché di approfondire gli studi patristici e scolastici.

Dopo essersi sposato con Violante Curione, decise di accettare l’incarico di insegnante di Antico Testamento a Strasburgo (1553-63). In questa città dovette fare i conti con Johannes Marbach, un luterano che voleva imporre sulla città la confessione di fede augustana del 1555 impedendo di fatto la libertà di insegnamento da parte degli esponenti riformati. Iniziarono quindi i dibattiti sugli argomenti che a lungo andare avrebbero rimarcabilmente delineato la divisione tra la confessione luterana e riformata (Natura della chiesa, concezione della Santa cena, la persona di Cristo e la predestinazione).

Zanchi, oramai divenuto il maggior avversario dei luterani strasburghesi, decise di trasferirsi dopo dieci anni a Chiavenna (1563-67), un importante centro di diffusione del Protestantesimo, essendo stato chiamato a sostituire il defunto pastore della chiesa riformata della città. Egli ambiva ad uno sviluppo sociale e culturale della cittadina, ma anche lì trovò un ambiente ostile alla sua teologia. Impossibilitato a compiere cambiamenti duraturi e contrastato dagli stessi cittadini, venne esonerato e andò a insegnare dogmatica all’Università di Heidelberg (1568-77), inaugurando il suo corso con una lezione sull’importanza di preservare la purezza della parola di Dio dal marciume del pensiero deviato e incorretto dell’uomo. Egli non negava né la ripresa del pensiero patristico e scolastico né l’utilizzo della ragione, ma li sottoponeva entrambi a uno studio serio e accurato della Bibbia. Difatti, le sue lezioni avevano spesso il medesimo modus: prima citava il passo biblico inerente all’argomento, dopodiché analizzava esegeticamente il passo traendo da esso le tesi e le applicazioni. Infine, da una parte, confrontava ciò che aveva riscontrato con le opinioni dei cattolici romani e degli eterodossi, e dall’altra, riprendeva le prove a sostegno della sua argomentazione dalla Scrittura stessa, dai Padri, dai concili e dai teologi scolastici.

È in questo periodo che il nostro teologo diede alla luce le sue opere più importanti: un trattato sulla Trinità, un’opera sugli attributi di Dio e un altro testo monumentale sulla creazione. Dopo altri spostamenti dovuti sempre a questioni confessionali, decise negli ultimi anni della sua vita di trasferirsi definitivamente a Chiavenna per avvicinarsi ai parenti della seconda moglie Lidia Lumaga, sposata dopo la morte della prima. Qui redasse nel 1585 il De religione christiana fides, confessione di fede pensata come risposta delle chiese riformate al Libro di Concordia luterano, poi diventata la confessione personale del Nostro e della sua famiglia. All’età di 74 anni, oramai molto malato e probabilmente cieco, Zanchi morì ad Heidelberg nel 1590 dove si era recato per visitare alcuni amici.

Zanchi verrà ricordato per essere stato un convinto ed erudito teologo riformato, disposto ad abbandonare la propria patria e a spostarsi di città in città pur di continuare a predicare e a insegnare ciò che egli riteneva più in linea con l’insegnamento della Scrittura. L’epitaffio posto sulla tomba è un chiaro suggerimento del carattere perseverante e lo spessore intellettuale del nostro personaggio:

Qui sono sepolte le ossa di Girolamo Zanchi, esule italiano dalla patria per amore di Cristo. Quale teologo e filosofo egli è stato, lo attestano i molti libri da lui pubblicati e tutti i docenti della chiesa che ascoltarono ciò che ha insegnato. Ora, dunque, sebbene si sia allontanato da qui con lo spirito, tuttavia rimane con noi per la fama del suo nome. Morì il 19 novembre 1590.

Per ulteriori approfondimenti:

  • Aa. Vv., “Girolamo Zanchi”, Studi di teologia 55/1 (2016).

  • Girolamo Zanchi, La fede cristiana, a cura di Emanuele Fiume, Chieti, GBU 2011.

  • Opera tradotta in inglese: Girolamo Zanchi, The Spiritual Marriage Between Christ and His Church and Every One of the Faithful, Grand Rapids, Reformation Heritage Books 2021.

(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Che vi do!, XXXII, n. 103 (Giugno 2023) pp. 8-9, periodico quadrimestrale di Pane Quotidiano Onlus)


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