Giulia Gonzaga e Vittoria Colonna. Figure emblematiche della mancata Riforma in Italia
Importanti ed influenti dame rinascimentali, accomunate da destini simili, Vittoria Colonna (1492-1547) e Giulia Gonzaga (1513-1566) sono l’emblema dell’Italia cinquecentesca fortemente permeata dalle idee protestanti e sensibile alle istanze spirituali sollevate dai riformatori di tutta Europa. Prima che l’Inquisizione stringesse la sua morsa, infatti, l’Italia conobbe un anelito di rinnovamento che passò soprattutto per le corti delle grandi famiglie nobiliari italiane e, spesso, furono proprio le donne ad accoglierne con entusiasmo la nuova spiritualità.
Entrambe figlie di uomini potenti, i loro matrimoni, per motivi politici, furono programmati in tenerissima età. Giulia Gonzaga andò in sposa a soli tredici anni al principe Vespasiano Colonna e Vittoria Colonna, la cui mano fu contrattata all’età di tre anni con la famiglia del Principe Ferrante di Pescara, si sposò a diciannove anni. Entrambe rimasero vedove presto e, entrambe senza figli, condussero il resto della loro esistenza in modo atipico diventando eccezionalmente popolari, intrattenendo rapporti di stima e amicizia con i personaggi più potenti dell'epoca e intrecciando nodi di cultura, potere e religione propri di molti intellettuali rinascimentali.
Celebre per la sua straordinaria bellezza, Giulia Gonzaga fu molto corteggiata e ispirò molti poeti, e addirittura il pirata Barbarossa saccheggiò Fondi, dove la dama risiedeva, per rapirla e offrirla in dono al sultano turco. Forse proprio per motivi di sicurezza la Gonzaga si trasferì a Napoli dove risiedette tutta la vita in un convento e dove si trovò immediatamente in un contesto vivace fatto di cultura e lettere. Tra le sue prime conoscenze rilevanti ci fu quella con Pietro Carnesecchi, con il quale sarebbe rimasta in contatto per tutta la vita e con il quale condivise le esperienze religiose che portarono lui alla condanna e lei ai sospetti dell’Inquisizione. A Napoli ebbe anche modo di conoscere lo spagnolo Juan de Valdés al quale confidò i propri sentimenti tormentati dovuti ad una profonda crisi religiosa suscitata dalla predicazione del cappuccino Bernardo Ochino. Finì con il diventare uno dei più importanti membri del gruppo che lo spagnolo aveva riunito attorno a sé ed ispirò al Valdés l'Alfabeto cristiano, importante opera che ben presto fu ritenuta dall’Inquisizione come una pericolosa eresia vicina alle idee luterane.
La Gonzaga, insieme con gli altri membri del gruppo valdesiano, fu impegnata nella diffusione delle opere del maestro ed in un’occasione le capitò di inviare una copia di un commentario di Valdés sulle epistole paoline anche a Vittoria Colonna. La Colonna nel frattempo, dopo la morte del marito, aveva viaggiato molto cercando di fare gli interessi della famiglia sfruttando la sua popolarità come intellettuale per avvicinare il papa al suo casato. Durante uno dei suoi spostamenti, fermandosi a Napoli, cominciò a frequentare anch’ella il già noto circolo valdesiano instaurando rapporti destinati ad essere, anche nel suo caso, duraturi con gli esponenti più influenti del cenacolo.
In uno dei suoi spostamenti, Vittoria Colonna passò del tempo a Ferrara dove Renata di Francia, moglie del duca Ercole II d'Este, aveva decisamente abbracciato le dottrine riformate, attirando nella propria città tutti quegli intellettuali che si muovevano nella stessa direzione. In quegli anni si trovava a Ferrara anche Bernardino Ochino, già responsabile della crisi religiosa della Gonzaga e con il quale venne in contatto condividendo molto della sua predicazione. Dopo molti spostamenti decise di stanziarsi a Viterbo e, similmente alla Gonzaga, scelse un convento come dimora. Viterbo però era divenuta, in quegli anni, punto d'incontro di personaggi molto vicini alla Riforma come Reginald Pole, Flaminio, Carnesecchi e il Valdés. Le sue frequentazioni rimasero in quell’ambito legandosi soprattutto al cardinale inglese Pole la cui opera fu quella che la influenzò maggiormente. Infatti, in uno dei suoi scambi epistolari con Giulia Gonzaga affermò di “dovere al Pole la salute dell'anima e del corpo perché egli l'aveva liberata dalla "superstizione" e dal "malgoverno"”.
Tra i primi, fra i personaggi vicini alle due dame ad essere colpiti dalla condanna di eresia fu Bernardino Ochino, a cui già da tempo la Chiesa romana guardava con sospetto. A poco a poco il cenacolo viterbese si smembrò, dietro le pressioni, a diversi livelli, di Roma. Ben presto i sospetti degli inquisitori cominciarono a estendersi a tutti i discepoli di Juan de Valdés, tra cui anche la Gonzaga sulla quale cominciarono ad essere raccolte molte testimonianze con lo scopo di incriminarla.
Gli ultimi due anni della vita della Colonna, ormai malata e molto sola, furono invece riempiti dalla nuova amicizia con Michelangelo, che divenne la persona più vicina alla marchesa di Pescara e dal cui pensiero probabilmente si fece influenzare per la realizzazione di diverse opere. La fama pubblica della Colonna però era ormai stata intaccata dai sospetti di eresia ed anche contro di lei l'Inquisizione andava raccogliendo prove. Forse la morte naturale la salvò da un processo simile a quello che dovettero subire molti sui compagni.
Le prove contro la Gonzaga invece servirono a muovere contro di lei l’accusa di aver diffuso gli scritti dell’eretico Valdés e la portano ad un processo che però non andò oltre la fase istruttoria grazie alla mobilitazione della sua potente famiglia. Da quel momento in poi però, la vita della Gonzaga fu piuttosto povera di avvenimenti e piena di ansie e timori per la situazione religiosa italiana ed europea. Morì a Napoli nel 1566.
Appena avuta la notizia della sua morte, il papa richiese al viceré di Napoli il sequestro delle sue carte e la loro consegna a Roma. Dopo averle esaminate, Pio V disse che, se le avesse viste mentre la dama era ancora in vita, "l'havrebbe abrusciata viva".
Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga non ruppero mai apertamente con Roma e la loro spiritualità in un certo senso va interpretata e capita alla luce del contesto in cui le idee a cui furono esposte si diffondevano. Entrambe sono l’emblema di un’élite che riconosceva la necessità di un rinnovamento della chiesa e sicuramente furono toccate in modo personale dalla parola predicata in modo fresco e nuovo. Nonostante l’influenza e l’importanza del loro nome, non riuscirono ad eludere la stretta morsa delle autorità inquisitoriali e le vicende delle loro vite riflettono bene il tentativo mancato della Riforma in Italia a causa di una ben più prepotente Controriforma.