Il tormentone “sinodale” sfiora anche il battesimo cattolico ma non lo cambia

 
 

Nel cattolicesimo tutto o quasi viene declinato in base al tormentone del momento. Dopo il Vaticano II e il rilancio della sacramentalità, la missione della chiesa venne ripresentata in termini sacramentali. Tutto doveva essere risidegnato nel segno della sacramentalità. Poi fu la volta della liberazione: la prassi, la teologia, la liturgia, ecc.: tutto doveva avere il respiro della liberazione. Poi, il “grande giubileo” di Giovanni Paolo II innescò un ciclo all’insegna della stagione giubilare. Poi, con papa Francesco, tutto fu riproposto sotto l’egida della misericordia: il vangelo della misericordia, la “misericordina”, ecc. 


Negli ultimi anni, con il processo sinodale in corso, centinaia di libri e pubblicazioni riformulano il messaggio e l’azione della chiesa cattolica in chiave sinodale: chiesa sinodale, pastorale sinodale, missione sinodale, ecc. E’ come se la chiesa cattolica abbia bisogno di ridirsi e ripresentarsi in base all’enfasi data dal papa regnante o al tema dominante di una stagione.


In questo florilegio di sinodalità, non poteva mancare un’attenzione al battesimo. E infatti, ecco un articolo del gesuita Joos Moons proprio su “Battesimo e sinodalità. Appello per uno stile di vita di conversione permanente”, La Civiltà Cattolica 4176 (15 giugno 2024) pp. 589-602. Il cattolicesimo sente il bisogno di ripresentare il battesimo anche nel segno della sinodalità.


Come? Sino al concilio Vaticano II, lamenta il gesuita, il battesimo era un fatto statico, un po’ meccanico: sì, lavava il peccato originale e assicurava il paradiso in caso di morte, onde evitare il limbo ai bambini. Per il resto, il vero cuore del cattolicesimo era in capo ai “ministeri ordinati” (il clero) e non ai battezzati (i laici); inoltre, le aspettative spirituali per i battezzati erano minime. Semmai, ci si aspettava impegno dai “religiosi” consacrati, non dai semplici battezzati. 


Sempre secondo Moons, il Concilio ha espanso e approfondito il ruolo dei battezzati (nelle parole del gesuita: ha dato “una prospettiva più completa” o “una fondazione più ampia”), non solo in senso funzionale, ma andando a rivisitare la teologia del battesimo. Il Vaticano II avrebbe considerato il battesimo come il fondamento della pari dignità dei fedeli e anche della corresponsabilità complementare e collaborativa rispetto alla gerarchia.


Nel cattolicesimo contemporaneo, il battesimo è oggi valorizzato come “rinascita”, come “incorporazione alla chiesa” e come “stile di vita”. Ad enfatizzare ulteriormente tutto ciò, la prospettiva sinodale invita alla partecipazione di tutti perché tutti i battezzati sono protagonisti nella chiesa. Nei documenti della sinodalità si arriva persino ad affermare che il battesimo è “il principio della sinodalità” e costituisce pure “il fondamento dell’ecumenismo”.


Il discorso è molto altisonante, ma non è un po’ avulso dalla realtà? Giustamente, Moons documenta lo sviluppo della teologia cattolica del battesimo, ma è cambiato qualcosa? Siamo in presenza di meri giochi linguistici o di vere trasformazioni? Visto che la Chiesa cattolica non ha cambiato la sua teologia del battesimo, può il discorso sulla “sinodalità” modificare alcunché? 


Roma crede ancora che il battesimo sia un sacramento ex opere operato, che la chiesa impartisce e che produce gli effetti per cui è amministrato. Ma senza fede personale da parte di chi lo riceve, come ci si può aspettare che poi produca uno “stile di vita” cristiano? Siamo ancora nell’automatismo uscito dal Concilio di Trento per cui, contro l’enfasi della Riforma protestante sulla salvezza per fede soltanto, il cattolicesimo contrappose il proprio sistema sacramentale come necessario per la salvezza e gestito dalla chiesa. Inoltre, contro l’enfasi di Padri della chiesa come Tertulliano che parlava della conversione a Cristo che doveva precedere il battesimo (citazione richiamata a p. 598), il cattolicesimo ha scelto di amministrare ordinariamente il battesimo prima della conversione. Quello che scriveva Tertulliano ha senso biblico: prima la conversione, poi il battesimo. Roma ha fatto il contrario, pur pretendendo oggi che i battezzati siano de iure e de facto cristiani.


E’ biblicamente sensato dire che il battesimo testimonia la rinascita spirituale e chiama ad una stile di vita cristiano, ma il presupposto è che esso segua la conversione a Cristo. Se lo procede, chi lo riceve non è cambiato spiritualmente e quindi non è per nulla all’interno di un cammino che dalla rigenerazione continua nella santificazione. 


Sembra allora che il cattolicesimo sinodale voglia capra e cavoli. Si aspetta che i battezzati siano dentro un percorso spirituale, ma amministra il battesimo non essendosi accertato che questo percorso sia iniziato per grazia mediante la fede soltanto, bensì attribuendo al battesimo in quanto sacramento il potere di attivarlo. E’ un circolo vizioso che non può produrre un autentico cambiamento. E, di fatti, continuiamo a vedere milioni di battezzati che non mostrano alcun interesse spirituale per le cose di Dio e vivono da pagani quali sono. Come possono essere chiamate queste masse di “cristiani nominali” ad una conversione permanente se non si sono mai convertite a Cristo? Possono essere battezzate, ma non sono cristiani ipso facto.


Il problema sta al cuore della teologia sacramentale del cattolicesimo. Non basta l’enfasi sinodale a cambiare la comprensione cattolica del battesimo. Ci vuole una riforma secondo l’evangelo che riconosca che la salvezza è per grazia soltanto (non per i sacramenti) ricevuta per fede soltanto (non per le opere). Solo allora si potrà credibilmente lanciare un appello a tutti i credenti per uno stile di vita di conversione.