Infanzia e santità. Un difficile incontro alle origini del cristianesimo
Dopo che Philip Aries, storico medievalista francese, diede il via agli studi sull’infanzia nel 1960 l’interesse è fiorito anche tra gli studiosi del cristianesimo antico, i quali cominciarono ad indagare le origini e lo sviluppo della figura del bambino santo. Infanzia e santità. Un difficile incontro alle origini del cristianesimo (Viella, 2020) è il titolo di un affascinante volume presentato nell’ambito di “Libri per Roma”, un’iniziativa ormai consolidata dell’Istituto di Cultura Evangelica e Documentazione di Roma volta a promuovere la cultura evangelica tramite il dialogo sui libri. L’autrice del volume, Elena Zocca, professore di Storia del Cristianesimo presso “La Sapienza” di Roma, ha raccolto il frutto di anni di ricerca interdisciplinare. L’opera mette in luce l’evoluzione storico-culturale (I-V secolo) che va dall’immagine del bambino dei tempi di Gesù fino alle immagini agiografiche dei santi bambini, partendo dal presupposto che infanzia e santità sono costrutti culturali in continua evoluzione e privi di un significato metastorico oggettivo.
Nel contesto greco-romano, luogo di diffusione del cristianesimo dei primi secoli, l’idea del bambino era fondamentalmente negativa. Esisteva un’enorme differenza tra i bambini-figli (patrimonio della famiglia) e i bambini-schiavi. Questi ultimi erano veri e propri oggetti, merci comprate e vendute come “strumenti da lavoro”, “cuccioli da compagnia” o “sex toys”. Per i figli nati liberi la situazione era relativamente più facile se sopravvivevano ai primi anni di vita, ma anche in questo caso il bambino era definito dalla sua mancanza di giudizio, incompiutezza, impurità e bisogno di disciplina. Il mondo giudaico, pur condividendo un certo sguardo negativo sull’infanzia, si distingueva per alcuni tratti piuttosto unici. I figli erano un dono non solo in quanto ricchezza per la famiglia ma perché erano segno della promessa divina di un salvatore per mezzo della progenie di Abramo. Inoltre, le pratiche pagane dell’aborto, dell’infanticidio, dell’esposizione e pederastia erano condannate come forme di empietà verso Dio e l’atteggiamento verso i bambini in generale era più attento e indulgente, preoccupato sia della cura fisica sia di quella spirituale; tutti i bambini nati o immessi nella comunità dovevano essere oggetto di attenzione particolare, che fossero figli, schiavi o orfani.
Anche il concetto di santità varia con il variare dei tempi e delle culture. L’autrice si sofferma ad illustrare, come nei primi cinque secoli cristiani, la santità passa dall’essere un concetto collettivo che contraddistingue una comunità e il suo culto (il popolo scelto) a forme più personali ed etiche (il martire, l’asceta, il vescovo). L’onore inizialmente attribuito a fedeli cristiani perseguitati, si trasforma lentamente in venerazione. Emergono così individui che, scelti come rappresentanti cristiani eccellenti, diventano oggetto di narrazione, raffigurazione e infine celebrazione. Nasce il santo e inevitabilmente nascono domande sulla sorte di chi santo non è. Tutto ciò avviene nel mezzo del dibattito teologico sull’umanità di Cristo, con un’attenzione crescente alla sua infanzia e per ricaduta alle infanzie umane. Iniziano ad emergere domande diffuse sulla sorte eterna dei bambini morti aprendo la strada alla pietà popolare dell’infantia Christi e alla sacramentalizzazione del battesimo. Lentamente e in modo progressivo l’infanzia e la santità si avvicinano. Se, nei documenti antichi, inizialmente l’infanzia è raccontata come un impedimento al martirio, al monachesimo, all’ascesi come forme di santità, successivamente diventa una parte rilevante nella biografia del Santo che mostrava già da bambino segni di santità, fino a giungere nelle omelie di Leone Magno (IV sec.) ad essere affermata come Magistra Santitatis.
Al centro del suo schizzo storico-culturale però l’autrice pone Gesù, riprendendo quanto riportato dai Vangeli sinottici, con i suoi gesti nei confronti di alcuni bambini e le parole che rivolge ai suoi discepoli in presenza dei primi. Egli era un riferimento imprescindibile per il cristianesimo antico e le sue parole ed azioni che apparivano dirompenti, sembrano essere ancora misteriose. L’autrice parla di una “resistenza” al messaggio di Gesù nel corso dei primi secoli che sembra protrarsi ancora oggi: “Un passo enorme è stato fatto, ma non possiamo dire che questa sia l’apertura definitiva alla santità infantile, questione del resto non ancora risolta. Né riusciamo a comprendere se o quanto ciò abbia inciso sulla concreta vita dei bambini…forse la nostra sensibilità ai diritti dell’infanzia nasce anche di lì” (p.119). Il tema, quindi, non è per nulla antico e nell’epoca dei diritti dell’infanzia, riconosciuti ma costantemente violati, è ancora estremamente rilevante. Quell’incontro difficile alle origini del cristianesimo appare ancora difficile e a tratti impedito nella nostra cultura contemporanea.
Mentre i discepoli di Gesù erano interessati a scoprire chi fosse il più grande nel regno dei cieli, egli con il suo genio pedagogico, avvia una lezione di “educazione attiva” prende un bambino ed espone la sua lezione “interdisciplinare”. Egli affronta contemporaneamente un tema culturale, etico e sociale andando al cuore di quello spirituale. La resistenza che c’era e c’è al messaggio di Gesù è di aver preso l'aspetto morale e sociale del suo insegnamento e averne rifiutato quello spirituale. I bambini erano un segno di incompiutezza, inadeguatezza, incapacità, impurità, e Gesù dice ai discepoli che la descrizione che avevano assegnata ai bambini era proprio quella che dovevano accettare per sé stessi se volevano conoscere Dio ed entrare nella sua santità. Per essere “grandi”, uomini santi, adeguati, completi dovevano riconoscersi impuri, inadeguati e incompleti. Dicendo questo Gesù non stava esonerando i bambini; perciò, diceva “lasciate che vengano a me”.
La chiesa antica non ha forse spostato lo sguardo dai discepoli ai bambini perdendo di vista il vero protagonista dell’Evangelo: Gesù Cristo? Non ha perso di vista la grandezza di Dio volendo riconoscere la grandezza dell’uomo? Nonostante qualche racconto di “santo bambino”, tra infanzia e santità continuerà ad esserci un baratro nella misura in cui al centro della questione è posto il bambino invece che Cristo e atti di giustizia umana come il battesimo piuttosto che di giustizia divina come la giustificazione e la santificazione. Cristo va davvero al cuore della loro “diritti” passando attraverso il “bisogno spirituale” dell’umanità, anche quello dei più piccoli.