La guerra in Ucraina e l’illusione della fine della storia

 
 

Con la fine dell’ultimo impero novecentesco (l’URSS), sembrava che la storia fosse finita. Era questa, in soldoni, la tesi di Francis Fukuyama nel suo La fine della storia (1992). Il libro fece scalpore perché, col crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il mondo perdeva l’ultimo baluardo ideologico-politico che si era schierato contro la democrazia occidentale, provando a scalzarla. Da allora in poi, non ci sarebbe stata più un’opposizione tra tesi e antitesi, ma il raggiungimento di una situazione di globale accettazione dei valori occidentali fondati sui diritti umani. Dietro la lettura di Fukuyama c’era la filosofia hegeliana secondo cui la storia procede per contrapposizioni che fanno comunque evolvere la situazione verso un livello avanzato di civiltà.  

Fiumi di inchiostro sono stati impiegati per discutere la “fine della storia” di Fukuyama, sia indicandola come chiave di lettura geniale della nuova era che si apriva, sia denigrandola come grossolana provocazione. A distanza di trent’anni e, soprattutto, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, si può dire che la “fine della storia” fosse un’illusione.

Intanto, Fukuyama aveva sottostimato la Cina che è un altro impero che nel Novecento si è ideologizzato in senso anti-democratico e nel primo squarcio di Terzo Millennio è diventata una potenza economica globale. Sicuramente, la Cina è uno stato totalitario che si pone in contrasto con i rudimenti dei diritti umani e della democrazia. Dunque, anche senza più l’URSS, anche concedendo un credito iniziale a Fukuyama, la storia non era finita per niente nel 1992.

Al di là del ruolo crescente della Cina sullo scacchiere mondiale, la tragica invasione russa dell’Ucraina di questi giorni mostra quanto superficiale fosse quella lettura. L’URSS si è dissolta come istituzione statale, ma non è sparita l’ideologia pan-russa dell’impero con velleità di dominio universale. Oggi stiamo assistendo a discorsi ed azioni che mai avremmo pensato di ascoltare e vedere dopo il crollo del muro di Berlino. L’ideologia totalitaria è viva e vegeta tra noi (ma quando mai è morta?) e ha un braccio armato di tutto punto che si è messo in azione ai confini dell’Europa, verso l’Europa.       

Quella “fine della storia” era una boutade e non per un motivo politologico. La sua insostenibilità era primariamente teologica. Infatti, nessuno può decretare la fine della storia se non il Dio della storia. E Dio non l’ha ancora decretata. Sino alla parusia (la seconda venuta di Gesù), si susseguiranno guerre e rumori di guerre (Matteo 24,6) e le ideologie malate troveranno estese praterie in cui seminare e raccogliere le peggiori zizzanie del mondo. Inoltre, la meta della storia non è l’affermazione dei diritti umani e lo stato liberale di stampo occidentale, ma la vittoria del diritto di Dio che in Gesù Cristo ha spodestato le potenze oppositrici facendone un pubblico spettacolo (Colossesi 2,15). Non è la filosofia hegeliana che misura il cammino dell’umanità, ma è la rivelazione biblica a dire cosa è accaduto e cosa accadrà.  

La fine della storia di Fukuyama è stata una lettura euro/americano-centrica e secolarizzata: molto provinciale e riduttiva. È sbagliata. Se mai ce ne fosse stato bisogno, la guerra in Ucraina sta mostrando tutta la sua puerilità. La fine della storia la decide Dio, il Dio della storia. Nel frattempo, viviamo nella storia di Dio che in Gesù Cristo ha già vinto, ma non ancora mostrato il suo definitivo compimento, pregando per l’Ucraina e per la Russia.