La preghiera per Trump di improbabili pastori e il problema della religione civile americana

 
 

Lei (Paula White) vestita di bianco con atteggiamento tra il materno e lo ieratico. Lui (Donald Trump) con sguardo compìto e le braccia conserte sul tavolo dell’ufficio ovale. Intorno una pletora di improbabili “pastori” ispirati e con le mani tese sul presidente. La foto iconografica dell’avvio del “Faith Office” è stata definita una scimmiottatura dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (curioso che anche l’inaugurazione queer delle Olimpiadi di Parigi fu paragonata allo stesso dipinto).


Anche in Italia, molti si stanno esercitando a commentare pesantemente e a sputare sentenze sul ruolo degli “evangelici” in USA, la loro fame di potere, la commissione politica-religiosa nell’attuale Amministrazione americana, ecc. Tanti discorsi sembrano essere fatti a sproposito e con molta confusione. Nel bel mezzo di questo baillame, tre considerazioni possono forse aiutare a capire cosa sta succedendo.


1. La foto ritrae personalità non del mondo evangelico, ma dell’universo del “vangelo della prosperità”. Questo mondo fatto di “ministeri”, TV, megachiese e conferenze, ecc. è un fenomeno border-line del neo-pentecostalismo (da non confondere col pentecostalismo evangelico che è altra cosa), frutto della commistione tra denaro-potenza-salute-successo. Il tasso di evangelicità di questo mondo è nullo, a dispetto della somiglianza di qualche parola usata. La miscela della “prosperità” ha inquinato i pozzi delle chiese evangeliche e ha trovato in Trump un collante per la sete anche di dominio politico. Ai loro orecchi, il MAGA è una sirena attraente perché incarna la volontà di benessere e supremazia.


Vero è che la base evangelica ha sostenuto Trump, ma bisogna capire questo appoggio all’interno delle dinamiche della vita pubblica americana. Negli ultimi decenni, essa è diventata un “mondo negativo” per le fedi e, in più, l’alternativa dell’offerta politica (tra Biden e Harris) era oggettivamente scadente e preoccupante. In queste condizioni, Il mondo evangelico ha sostenuto Trump in campagna elettorale anche se resta da vedere se questo sostegno rimarrà stabile cammin facendo. Detto questo, non sembra essere rappresentato nell’umanità spiritualmente problematica intorno a Paula White & Co. che osanna il nuovo presidente quasi come “unto” e “inviato” da Dio. 


Nella foto, l’unica eccezione è Franklin Graham che non è un esponente del “vangelo della prosperità”. Graham ha perso un’occasione per distanziarsi da quell’ambiente tossico e per mantenere una postura diversa. La sua reputazione di “evangelico” mainstream ne esce gravemente compromessa. 


Il punto è che il “vangelo della prosperità” è diventato visibile e potente, affamato e ambizioso, ora anche interprete e guida dell’appoggio politico incondizionato a Trump. Nel panorama religioso USA, i suoi numeri stanno crescendo come rilevano recenti statistiche di Lifeway. 


2. Al di là della rappresentazione scenica del ruolo politico preminente del “vangelo della prosperità”, una breve annotazione merita di essere fatta su un problema di fondo. Esso ha a che fare con la “religione civile” americana di cui la foto è figlia. Dalla sua costituzione in poi, l’America si è concepita come una nazione “under God” e al servizio della missione divina. Mentre ha scolpito nel suo vissuto il pluralismo e la libertà religiosa, ha avuto la tendenza a elevare l’identificazione con la nazione come valore “religioso” unificante. Ciò in parte spiega, da un lato, la grande libertà con cui in America si passa da una chiesa all’altra e, dall’altro, il patriottismo diffuso nutrito di eccezionalismo della propria nazione. Le identità religiose particolari sono liquide; l’identità nazionale è forte.


Nella cerimonia di insediamento del Presidente, si è avuta una rappresentazione plastica della religione civile americana: il rabbino, il cardinale cattolico, i pastori di varie chiese, l’imam e altri esponenti religiosi, si sono succeduti a pregare “Dio” per la nazione. Quale Dio pregassero e sulla base di quale fede comune lo facessero non era importante: ciò che univa era la religione civile che esalta la Nazione. Dopo l’insediamento, si è tenuto un “servizio religioso” nella cattedrale cattolica di Washington in cui tutti gli esponenti religiosi hanno sfilato e partecipato (anche gli evangelici) e una “pastora” di una chiesa liberale ha dato il sermone. Anche qui: non era la fede particolare a definire l’evento, ma la religione civile incentrata sulla nazione. La Bibbia esorta a pregare per le autorità (1 Timoteo 2,2), ma dentro un quadro definito dalla fede cristiana nel Dio della Bibbia, non come esercizio religioso in un calderone indistinto.


Da un punto di vista evangelico, ogni “religione civile” che tende ad elevare la nazione a comunità messianica, eccezionale, con una missione divina da compiere, ecc. è a rischio di essere una variante idolatrica. Questo è forse il problema teologico della religione civile americana.


3. La terza considerazione ha a che fare con la situazione italiana. Alcuni commentatori, come Antonio Polito sul Corriere, hanno contrapposto l’universo della foto all’ufficio ovale con il cattolicesimo di papa Francesco. Il primo visto come assetato di potere, il secondo al servizio degli ultimi. E’ ovvio che si tratta di una lettura caricaturale. 


Che lezioni di laicità e distinzione di poteri siano date prendendo come “modello” il cattolicesimo di Francesco fa ridere chi ha una benché minima dimestichezza con la realtà: in Italia, non c’è giorno che passi che le cerimonie civili danno sempre la preminenza alla partecipazione di cardinali, vescovi e personalità della chiesa cattolica che “benedicono” tutto e il contrario di tutto. Dove c’è un sindaco, c’è sempre un vescovo e dove c’è un’autorità politica c’è sempre quella cattolica di fianco. 


Che poi il cattolicesimo sia preso come religione che cura gli ultimi e i migranti mentre gli evangelici americani sono i brutti e cattivi che li respingono è una bufala che non sta in piedi. E’ evidente che la lettura del fenomeno religioso in Italia (ma non solo) è filtrato da pregiudizi e storture ideologiche. La sedicente pastora Paula White era vestita di bianco, ma in Italia siamo assuefatti da secoli all’“uomo vestito di bianco” (il papa) che è a capo di un impero della prosperità che deve ancora fare i conti con l’abc del pluralismo e della libertà religiosa.