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La teologia del Recovery Plan

I soldi del Recovery Fund non sono arrivati (solo per l’Italia, sono in ballo 32 miliardi di euro), ma almeno è già arrivata la pubblicità che ne anticipa le magnifiche sorti e progressive. “Un futuro più sicuro, più verde, più digitale. Facciamolo diventare realtà”. Questo messaggio riempie un cartellone pubblicitario alla fermata del tram. I colori dominanti sono il rassicurante verde e gli energizzanti blu e giallo. Un giovane che salta è la figura in movimento che lo anima e che comunica l’idea di slancio. La gente guarda il cartellone frettolosamente e passa avanti. C’è chi alza un sopracciglio in segno di scetticismo: sarà la solita pubblicità? Altri fanno un sospiro in segno di speranza: sarà veramente così?

Bisogna dare atto ai pubblicitari di saper cogliere il nocciolo di un discorso complesso, renderlo semplice ed emotivamente coinvolgente. Il Recovery Plan è scritto in pagine e pagine fitte di numeri, tabelle, schemi, analisi, progetti elaborati da economisti e policy-makers. Eppure eccolo lì: “un futuro più sicuro, più verde, più digitale”. Questo è il cuore. Apre un orizzonte escatologico secolarizzato (un futuro) indicando i tre valori su cui tutti noi dobbiamo investire e che rappresentano la nostra “salvezza”: sicurezza, verde, digitale.

Sembra essere questa la formula per la felicità. La “buona notizia” che dà è che:

  • c’è un futuro (la crisi non ha eroso la speranza);

  • l’Europa è il “salvatore” che paga per il nostro avvenire con un mirabolante piano di sviluppo;

  • le cose che valgono veramente sono la sicurezza (contro le ansie aumentate dalla pandemia), il verde (verso la transizione ecologica) e il digitale (l’intreccio sempre più inestricabile tra vita umana e tecnologia);

  • c’è una “mission” ambiziosa da raggiungere: farlo diventare realtà.

Ognuno di questi elementi è importante. E’ un bene avere un orizzonte davanti; l’Europa è un soggetto importante nel mondo policentrico; la sicurezza, il verde ed il digitale sono temi fondamentali. Nessuno, credo, sia folle abbastanza per sostenere il contrario. 

Ciò che dà a riflettere del Recovery Plan è la sua narrazione “salvifica”, quasi “messianica”, direi pure la sua teologia senza Dio ma al servizio degli idoli. Dopo decenni di crisi economica e sociale esacerbati dal Covid, ecco un piano di salvezza secolare, messo in campo da un attore politico più grande di noi e distante da noi, che ci dice cosa veramente vale nella vita e che ci dà gli strumenti per ottenerlo: essere sicuri, al riparo dalle paure, allontanando la malattia e la morte; coltivare una sorta di trascendenza dell’ambiente dentro cui trovare il nostro posto e avere un smartphone in mano con cui fare tutto, se non proprio “essere” noi con e in esso. Di questo “piano” noi dobbiamo diventare “missionari”, ricevendo i suoi benefici e trasformandolo in realtà per noi e per le generazioni successive. Chi paga tutto ciò? L’Europa certo.

Nessun piano viene elaborato senza un’ideologia, senza una matrice “religiosa” che ne esprima i valori ultimi. Il portato ideologico del Recovery Plan sembra essere chiaro. Non del regno di Dio abbiamo bisogno, ma del nostro futuro che non prevede la presenza ingombrante di Dio. Non a Dio Provveditore ci affidiamo, ma ad un’Unione che provvede generosamente per noi. Le cose che veramente valgono non sono fede, speranza e amore, ma sicurezza (salute), verde (gaia) e digitale (tecnologia). Ecco le tre virtù teologali dell’EU Next Generation.  

Nel messaggio biblico, gli idoli non sono brutti e cattivi, ma si presentano in modo intelligente ed accattivante. Le promesse degli idoli sono invitanti. Poi però, il conto non lo pagano loro, ma viene addebitato a chi si affida a loro. Il costo dell’idolatria sembra essere gratuito per gli utenti, ma alla fine viene caricato su di loro. Il futuro roseo anticipato si rivela disastroso. Sarà così anche per il Recovery Plan? 

L’evangelo di Gesù Cristo ci presenta un “recovery plan” diverso. Il mondo creato da Dio è andato storto a causa del nostro peccato. Dio Padre ha mandato il Signore Gesù per pagare il prezzo del peccato per chi si affida a Lui. Lo Spirito Santo è il pegno che garantisce il presente e il futuro del regno di Dio. Questa è la visione del mondo che anima la “missione” dei cristiani di essere sale e luce del mondo e che li incoraggia a contribuire alla ripresa generale dopo il coronavirus.

Se il Recovery Plan europeo sarà “penultimo”, meno ideologico, meno messianico, più modesto nelle sue aspirazioni di dirci da cosa dobbiamo essere “salvati”, “chi” ci salverà e come, allora sarà uno strumento per provare ad uscire dalla pandemia. Non è compito dell’Europa dirci questo: non è il ruolo di un piano economico presentarci una propria teologia alternativa a quella biblica. La chiesa evangelica dovrà vigilare affinché il Recovery Plan non si trasformi in un “vangelo” secolare che sembra essere una via larga e spaziosa, ma la cui destinazione altro non è che un (altro) vicolo cieco.


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