Moriremo marxisti? (V). La teoria critica della razza e il richiamo ad essere “woke”
Nella galassia neo-marxista contemporanea, un posto di rilievo lo occupano dei movimenti di pensiero che forse non si rifanno a Marx direttamente (direi: filologicamente), ma che sono nipoti del suo pensiero in un senso più sfumato anche se reale. Certamente questa ampia corrente di pensiero ha incamerato altre influenze, le ha mescolate tra loro e le ha sviluppate in intrecci diversificati. Uno di questi si è ritagliato una certa popolarità, soprattutto tra l’opinione pubblica occidentale e, in particolare, nord-americana. Si tratta della TRC: la teoria critica della razza (critical race theory).
Semplificando, si può dire che la TCR assume che il mondo sia retto da una volontà di potenza che viene esercitata in base alla razza di appartenenza. Ogni posizione sociale, organizzazione istituzionale e atteggiamento culturale è determinato dalla razza. Siccome nella storia occidentale, è la stata la razza bianca che ha costruito un sistema sociale atto ad esercitare supremazia sulle altre, contro le altre e opprimendo le altre, ogni realizzazione storica, culturale, simbolica, legislativa, ecc., è affetta dal razzismo che pervade tutto. La razza bianca ha usato il potere per opprimere le altre, rendendole oppresse, e creando un sistema volto a perpetrare l’oppressione.
Secondo la TCR, il grado di infestazione razzista è sistemico, cioè incistito nel profondo dei comportamenti personali, del tessuto culturale e dell’assetto istituzionale. Oltre a denunciare il razzismo endemico, la TCR vuole smantellare i meccanismi di oppressione legittimati dalla razza che lo hanno generato e sostenuto. Di qui le sue rivendicazioni: non solo verso opportune misure volte a debellare il razzismo esistente tra le pieghe della società, ma anche di operare una serie di “restituzioni” in denaro e proprietà scippate dai bianchi ai neri nel corso dei secoli e di “cancellare” la memoria storica e simbolica del passato (la “cancel culture” è un epifenomeno della TCR).
La TCR instilla il perenne sospetto che il mondo giri comunque per preservare il privilegio bianco. Anche il richiamo ai “diritti umani”, all’uguaglianza davanti alla legge, ai principi costituzionali che valgono universalmente, alla liberaldemocrazia, sono visti come paraventi per coprire la difesa del privilegio bianco e per “condannare” i neri ad essere perennemente schiacciati.
Una serie di assunti forti pervade la TCR. Essa è impregnata da una visione conflittuale della società divisa tra cattivi e buoni, oppressori ed oppressi: nello specifico i bianchi contro tutti gli altri. C’è un peccato originale non situato nella ribellione del cuore contro Dio, ma nel colore della pelle su cui è stata costruita una ideologia oppressiva nei confronti degli “altri”. Il razzismo è la spiegazione di ogni male e crea una sorta di atteggiamento vittimista da parte di chi appartiene al gruppo degli oppressi.
Essa è anche attraversata da un determinismo antropologico. La razza è un fattore coattivo: impone necessariamente di opprimere gli altri o di essere oppressi, senza possibilità di cambiamento, di mitigazione. La razza bianca ha costruito una posizione dominante a proprio favore che opprime le altre e cerca in tutti i modi, consapevoli o meno, di mantenerla. Chi non riconosce questo è “complice” dell’oppressione e se è un non-bianco a non riconoscere l’oppressione è perché ha interiorizzato il razzismo e ha una “falsa coscienza”. Questa divisione crea una “politica dell’identità razziale” che definisce in toto la propria esclusiva appartenenza ad un gruppo determinato dalla razza.
Inoltre, la TCR, mentre ha una carica demolitoria potente (volendo sradicare il privilegio bianco), non ha una comparabile forza costruttiva per una società giusta dove diversi gruppi provino a vivere in pacifica convivenza, piuttosto che in costante contrapposizione. La TCR propugna un atteggiamento culturalmente antagonista e socialmente conflittuale che non sfocia in un impegno costruttivo verso il pluralismo culturale in un quadro di diritti universalmente riconosciuti. Non c’è una vera speranza se non lo smantellamento dell’esistente e la lotta permanente tra gruppi sociali. Anche lo slogan “Black Lives Matter” non è solo un’affermazione del valore della vita dei neri, ma anche una contrapposizione al razzismo degli altri e una contestazione dello status quo che è visto come irredimibile.
La TCR chiama tutta la società ad essere “woke”, all’erta, cioè ad essere consapevole non solo delle forme evidenti di razzismo, ma di tutte quelle strutture conscie ed inconscie che alimentano il razzismo sistemico. Certamente, c’è bisogno di essere vigili affinché il peccato del razzismo sia riconosciuto e denunciato in tutte le sue manifestazioni. La TCR è anche un invito (scomposto finché si vuole) a non essere acquiescenti rispetto alle ingiustizie e a non essere ipocriti credendo che un sistema politico (qualunque esso sia) sia esente dal razzismo o sostanzialmente giusto così com’è. Talvolta le reazioni conservatrici, anche di molti evangelici USA, contrarie alla TCR vogliono difendere l’idea che gli USA siano una società libera ed equa, con qualche macchia isolata qua e là, ma sostanzialmente “buona” per tutti. La teoria critica (di cui la TCR è figlia) aiuta ad essere autocritici e a non avere di nessun sistema politico-culturale una concezione “eccezionale”. Ogni società è costituita, a livelli diversi di profondità, da strutture di oppressione e non solo da isolati individui malvagi. In questo senso, la chiamata ad essere “woke” è da accogliere.
Pur forte nella carica di denuncia, la TCR suggerisce un’analisi del problema dell’umanità che è parziale e, alla fine, fuorviante. Non sono (solo) i bianchi ad essere il problema: siamo tutti noi il problema, nessuno escluso. Siamo tutti oppressi dal peccato e a nostra volta siamo tutti oppressori gli uni degli altri. Qui però entriamo sulla soglia della risposta cristiana al marxismo e alla sue molteplici propaggini nella cultura contemporanea.
(continua)
(puntate precedenti: “La galassia neo-marxista”, 9 giugno 2021; “Il capitale: brevissime istruzioni per l’uso”, 15 giugno 2021; “Gramsci e la lotta per l’egemonia culturale”, 18 giugno 2021; “L’emergere della teoria critica”, 22 giugno 2021)