La geografia sociale di Roma non si fa senza religione
Quando si parla di Roma, immediatamente si pensa alla città capitale dell’impero, alla città eterna, alla culla del cristianesimo, ma non solo. È anche possibile, infatti, imbattersi in tanti luoghi comuni: città caotica, disorganizzata, piena di buche. Ma è possibile conoscere veramente Roma? Uno strumento che fotografa la situazione attuale è stato elaborato da Keti Lelo, Salvatore Monni e Federico Tomassi nel volume Le mappe della disuguaglianza. Una geografia sociale metropolitana, Roma, Donzelli 2019. Si tratta di un libro che ha suscitato una certa eco sulla radiografia di Roma e sul suo futuro.
Il volume raccoglie una notevole quantità d’informazioni. Roma è suddivisa in 155 zone urbanistiche. I dati sono mostrati attraverso 26 mappe, ognuna delle quali descrive una dimensione sociale: i livelli d’istruzione, il reddito delle famiglie e la loro collocazione, il tasso di occupazione e disoccupazione, la presenza di stranieri, le fasce di età rispetto alle zone suddivise, le densità e la crescita della popolazione, l’offerta di servizi pubblici e privati, l’indice di sviluppo umano, il tasso di esclusione sociale. Per chi volesse conoscere Roma nelle sue pieghe urbane e nei suoi tanti volti deve per forza familiarizzarsi con la miniera di dati contenuta in questo volume. Esso dà una fotografia di una città “caleidoscopio” come la definisce Walter Tocci nella postfazione.
Dal volume emerge un sempre maggiore svuotamento del centro storico, il divario di istruzione tra i quartieri, le periferie molto popolate ma mancanti di piani urbanistici a favore della socialità, tanti palazzi, anzi “palazzine”, diventati dei veri e propri dormitori: una Roma ormai che va oltre i confini delimitati dal GRA ed ingloba l’Agro romano, creando nelle periferie dei veri e propri centri di relazioni economiche che fanno da snodo per gli scambi dell’intera regione. Dall’analisi dei tre economisti emerge che Roma è una città diseguale in istruzione, in relazione alle infrastrutture, frammentata socialmente e demograficamente, povera e ricca allo stesso tempo, una città che mostra carenze socio-economiche evidenti i cui effetti sono disuguaglianza ed esclusione sociale.
Come si è detto, gli Autori forniscono un utile strumento per orientarsi nello studio di una città tanto ricca quanto complicata. Pur nella ricchezza della radiografia, balza all’occhio una lacuna vistosa: tra tutti i dati raccolti, manca una fotografia religiosa della città. E’ come se la dimensione religiosa e quella della socialità religiosa non fossero componenti significative nel plasmare la qualità di vita di una società e non fossero suscettibili d’interesse per gli osservatori. Sembra che a Roma la religione non abbia una funzione sociale tale da modificare gli assetti economici, di coesione sociale e quindi di sviluppo. Senza l’attenzione alla dimensione religiosa, è come se l’analisi, per quanto approfondita e particolareggiata, sia a suo modo miope in quanto non mette a fuoco un elemento fondamentale del quadro complessivo. Ad esempio, qual è il peso della Chiesa cattolica a Roma nell’essere, allo stesso tempo, causa delle disuguaglianze e agenzia redistributiva per gli esclusi? Nel loro piccolo, anche le chiese evangeliche romane sono attori a loro modo economici in quanto incoraggiano legami sociali, favoriscono l’inclusione sociale, creano capitale sociale in termini educativi e inter-generazionali oltreché, tramiti i progetti diaconali, economici. Che dire poi delle comunità islamiche, induiste, ecc. che a Roma hanno un peso non indifferente? Possibile che la mappatura della città le escluda dalla propria visuale? Il volume, dunque, per quanto ricco, risponde forse ad uno sguardo tecnocratico che prova, sbagliando, una certa sufficienza nei confronti della dimensione religiosa.
Un’altra domanda che il volume fa sorgere è la seguente: qual è la ricetta per rispondere ai bisogni descritti e risolvere i problemi incancreniti nel corso degli anni? Per Lelo, Monni e Tomassi, un agente essenziale è lo Stato, che deve farsi carico di rispondere alle condizioni socio-economiche precarie della gran parte della popolazione romana, in accordo al mandato che i padri costituenti gli hanno affidato in nome di un’uguaglianza formale e sostanziale di ogni cittadino davanti alla legge. La sfida di ridurre la disuguaglianza e l’esclusione è da attribuirsi allo Stato, che con l’ausilio dell’associazionismo locale, attua programmi mirati e specifici.
In effetti, lo Stato ha l’arduo compito di gestire le risorse dei contribuenti e di organizzare la giustizia mantenendo l’ordine sociale. Suo compito è tuttavia anche quello di riconoscere ai corpi intermedi della società (famiglie, chiese, imprese, associazioni, ecc.) il loro ruolo accanto agli individui e allo Stato stesso in un quadro caratterizzato da una pluralità istituzionale. L’intervento dello Stato non è quello di essere il “tutore” di ogni persona o di ogni movimento sociale. Non esistono gli individui e poi lo Stato, ma un insieme di agenzie intermedie che sono i veri motori dello sviluppo o della diseguaglianza. Gli esseri umani, oltre ad appartenere alla specie homo oeconomicus, razionale e bisognoso di x beni per vivere nel benessere, sono anche e primariamente esseri relazionali inseriti in organismi come la famiglia, la chiesa, la scuola, il comune, ecc. Da questa prospettiva, lo Stato non è il soggetto principale in cui sperare per un cambiamento, né la componente reddituale è la chiave principale per valutare la salute di una città. Inoltre, il solo intervento statale attraverso la creazione di infrastrutture, la riqualificazione urbana o l’assistenza non sarebbe sufficiente in quanto impotente a sradicare le storture di una cultura passiva e assistenzialista così come quella italiana nella sua accezione romana.
Per un’analisi veramente “sociale” si sarebbe potuto analizzare anche l’impatto della dimensione religiosa e delle comunità di fede presenti a Roma. Nel libro tutto ciò non è preso in considerazione. L’interesse suscitato da questo libro mostra una certa preoccupazione per il futuro di Roma e una speranza di vedere una città diversa, ma è necessario un cambio di paradigmi che sicuramente mostrerebbe una fotografia più nitida della città e una prospettiva più “sociale” di Roma. Senza prendere in considerazione anche la religione, le analisi per quanto particolareggiate tendono ad essere lacunose e le ricette sono astratte.