Islam e laicità. Un campanello d’allarme da Torino
Gli atenei di mezzo mondo sono in subbuglio per manifestazioni varie da parte di gruppi di studenti a favore della causa palestinese nel conflitto che sta insanguinando Israele e Gaza. Anche in Italia la mobilitazione studentesca è in corso. Questa è la cornice che ha fatto da sfondo ad un episodio avvenuto all’Università di Torino venerdì 17 maggio.
Una trentina di fedeli musulmani, studenti e studentesse di Paesi a maggioranza islamica, si è ritrovata nella sede occupata dell’Ateneo e ha utilizzato gli spazi sottratti all’uso ordinario e alla responsabilità dell’Università per la preghiera e per ascoltare la predica di un imam inneggiante alla jihad contro Israele.
Ci sono almeno due profili che devono attirare l’attenzione di chi ha a cuore la laicità nel quadro del rispetto della libertà religiosa e del pluralismo confessionale. Questo vale soprattutto in Italia dove la laicità è sovente strattonata da settori del cattolicesimo che non hanno ancora capito che il nostro Paese è laico e da settori del pensiero anti-religioso che vorrebbero liquidare le manifestazioni religiose alla sola sfera privata. Questo episodio coinvolge l’islam che, notoriamente, non ha sviluppato una cultura della laicità e che in questa vicenda ha mostrato di avere un deficit preoccupante.
1. La preghiera è parte integrante dell’esperienza religiosa e deve sottostare ad alcune regole che valgono per tutti. Nello spazio di un’istituzione statale essa deve avvenire dentro un quadro rispettoso della sovranità delle diverse sfere. Ciò vuol dire che l’Università statale non è un luogo di culto che le comunità di fede possono considerare “loro”. Certamente gli studenti possono chiedere l’uso di spazi per attività anche religiose (si pensi allo studio biblico dei gruppi biblici universitari o ad iniziative cattoliche o musulmane, del tutto equiparabili alle attività di gruppi politici e culturali). Chi pensa che non si possa pregare o leggere un testo religioso o testimoniare della propria fede all’università, scambia la laicità con il laicismo, cioè il rispetto del pluralismo con la negazione del vissuto religioso nello spazio pubblico.
Detto questo, per atti di culto, le comunità di fede devono ordinariamente avere luoghi adeguati ad essa dedicati e le Università statali non sono concettualmente questo luogo. L’episodio di Torino ha visto un gruppo di studenti islamici approfittare dell’occupazione dell’Ateneo per, a sua volta, “occupare” religiosamente le aule dell’Università. E’ noto che nell’islam l’occupazione del suolo con la preghiera equivale alla rivendicazione di un “diritto” di possesso su quel luogo. Ciò infrange la grammatica minima della laicità. L’Università statale non è dell’islam, né della chiesa cattolica, né di nessun’altra istituzione religiosa: è pubblica, di tutti, e tale deve rimanere. In più, i suoi spazi possono essere richiesti non in un regime di sospensione delle regole e di usurpazione forzata dei luoghi, ma dentro il quadro normativo previsto. I luoghi pubblici devono essere accoglienti rispetto alle varie comunità di fede nell’espressione libera delle loro convinzioni e pratiche, senza essere scambiati per luoghi di culto confessionali e spazi su cui esercitare egemonia.
2. La seconda riflessione riguarda i contenuti del sermone dell’imam. Apparentemente, è stata un’invettiva politico-ideologico contro Israele, un pistolotto d’odio più che un discorso religioso. Anche qui, è noto che l’islam non distingue nettamente religione e politica e ciò impedisce l’elaborazione di una cultura della laicità. In alcune interpretazioni radicali del messaggio dell’islam (come quella dell’imam di Torino), questa confusione concettuale può essere il brodo di coltura di azioni violente contro gli ebrei e i non-musulmani. Se questo è il caso, non si profila più solo una violazione della laicità, ma si prospetta un rischio di fanatismo religioso che incita l’odio e mette a repentaglio la pacifica convivenza.
Insomma, l’episodio di Torino è un campanello d’allarme che non va sottovalutato. L’islam è la seconda religione in Italia e il suo inquadramento giuridico è lungi dall’essere compiuto. I fatti di Torino mostrano come l’islam sia attraversato da correnti non ancora compatibili con la grammatica minima della laicità e del pluralismo religioso. Essi non aiutano a stabilire un confronto sereno su quale riconoscimento pubblico lo stato debba e possa accordare all’islam. La domanda è: questa difficoltà della cultura islamica a non stare nella laicità e a non accettare il pluralismo religioso è solo di gruppi ed interpretazioni radicali o è intrinseca alla religione musulmana?