Lavorare 4 giorni la settimana? Più punti critici che veri benefici
Nelle ultime settimane, il tema più discusso e che ha riempito la sezione “economia” dei grandi quotidiani è stata l’ipotesi della settimana lavorativa corta in cui si prevedono solo 4 giorni lavorativi. L’idea è che si lavora meno giorni, ma con un aumento delle ore lavorate nei giorni in cui si lavora, però ci sarebbero tre giorni liberi (!) e parità di salario. In pratica si lavorerebbe meno, ma con lo stesso stipendio.
In altri Paesi la settimana lavorativa di 4 giorni è stata introdotta in via sperimentale. E in Italia? La CISL chiede di sperimentarla, la CGIL è aperta all’idea, il governo attuale a nome del Ministro delle imprese e del Made in Italy, Urso si dice disposto a rifletterci… insomma sembra esserci una volontà di provare questa nuova modalità di lavoro. L’obiettivo è quello di frenare il fenomeno delle grandi dimissioni in conseguenza l’assorbimento totale nell’attività lavorativa sulla vita privata, ma anche permettere a lavoratori sopra una certa età di lavorare meno per preservare una certa qualità di vita.
Questa disponibilità a considerare nuove modalità di lavoro è da accogliere favorevolmente. Il lavoro non è da pensare in modo monolitico e statico, ma sempre soggetto a miglioramenti, a patto che lo siano veramente. In via preliminare, tuttavia, si possono fare alcune osservazioni critiche.
Innanzitutto, è necessario dire che si tratterebbe di una misura che cambia le condizioni dei soli lavoratori dipendenti e coperti da CCNL. Il lavoro autonomo, le partite IVA, ecc. non rientrano in questa tipologia. Inoltre, lavorare meno giorni, non significa essere più produttivi e stimolati. Se si riducono i giorni di lavoro, inevitabilmente le ore in cui una persona passerebbe al lavoro sarà più elevato (si parla infatti di 9/10 ore al giorno), e questo potrebbe non essere molto salutare per i lavoratori. Infatti, andrebbero stimati gli effetti sul benessere psicofisico di ogni lavoratore.
Sappiamo bene che quando si parla di lavoro, non parliamo di soli lavoratori, ma anche di imprese, imprenditori, clienti, fornitori, ecc. Pertanto, andrebbe considerato anche il grado di impegno e di dedizione all’attività lavorativa. Questo per dire che c’è ampio margine di intrusione del fenomeno del “free riding”. Il free rider è colui che beneficia di un incentivo, in questo caso 4 giorni a settimana di lavoro, senza però impegnarsi per 9/10 ore consecutive stabilite.
Diminuire le ore complessive lavorate mantenendo lo stesso salario dà a pensare. Se deve esserci una certa proporzionalità tra lavoro e reddito da lavoro, come può essere mantenuta se il salario rimane invariato pur in presenza di meno ore lavorate? Servirà inevitabilmente aprire il discorso sul salario minimo orario.
Altre riflessioni possono essere fatte. Molti sono favorevoli a questa riforma, ma viene tralasciato un elemento significativo: le 61 imprese che hanno aderito al progetto sperimentale della settimana corta hanno sede nel Regno Unito, un Paese socialmente e culturalmente diverso, e che ha avuto nella sua storia una certa esposizione alla cultura protestante e che ha un’etica del lavoro diversa rispetto a quella italiana. Il rischio di attivare percorsi di sperimentazione nel nostro Paese spalanca le porte al lavoro sommerso, un problema che ancora facciamo fatica a risolvere. In un Paese come il nostro in cui l’economia “in nero” è un terzo del totale, siamo sicuri che il tempo libero non sarà investito per dedicarsi ad altri lavori “in nero”? Questo per dire che la settimana corta non può prescindere dalla cultura del lavoro di un certo contesto, e quindi da un’etica del lavoro espressa.
Il tema della flessibilità del lavoro è attuale ed importante: l’accesso al part-time, la coniugazione tra esigenze famigliari/vocazionali e lavorative, la ricerca di equilibri possibili e sostenibili, ecc. sono capitoli da tenere presenti. Valorizzare i tempi della vita è lodevole e diversificare le attività (non solo lavorative in senso stretto) è necessario. Tuttavia, la settimana lavorativa di 4 giorni sembra offrire possibilità in questo senso, ma in realtà introduce più criticità che benefici reali.
N.B. A cura dell’ICED di Roma, il seminario “Buon lavoro” è un format agile e facile da organizzare, è un’opportunità unica per stimolare conversazioni e riflessioni sul vivere il lavoro in modo cristiano. Si avvale dell’ottimo materiale pubblicato dal fascicolo “Buon lavoro”, Studi di teologia – Suppl. 18 (2020). Rivolto a credenti e amici/amiche, è a disposizione delle chiese evangeliche italiane, anche della tua!