L’estetica riformata di Rembrandt
Paesi Bassi, L’Aia, Mauritshuis, uno dei musei più famosi della nazione. Mi trovo davanti a una delle opere d’arte che desideravo vedere da tempo. Si tratta della Lezione di anatomia del dottor Nicolaas Tulp di Rembrandt van Rijn (1632). Sono rapito dal realismo della scena, dalla curiosità tangibile degli studenti raffigurati, da quel contrasto tra il colorito della loro carnagione e il gelo che si prova gettando lo sguardo sul cadavere esaminato, da quell’abbigliamento che oggi sarebbe poco consono indossare in una sala operatoria. So che si stanno prendendo beffe di me: appena volterò le spalle, il dottor Tulp riprenderà la lezione e gli studenti continueranno a manifestare la loro meraviglia, facendo ancora più domande al professore.
Così come per quest’opera, anche i dipinti di Rembrandt incentrati su episodi biblici emanano un realismo difficilmente trascurabile. Oltre alla rappresentazione della quotidianità del ‘600 olandese, infatti, il pittore di Leiden è ricordato altresì per gli schizzi e dipinti raffiguranti scene di carattere biblico, riprese sia dall’Antico sia dal Nuovo Testamento. Appena ci si interfaccia con queste opere, gli stati d’animo dei personaggi fuoriescono così naturalmente dalla tela da avvolgere lo spettatore e attirarlo, volente o nolente, a partecipare alla vicenda così magistralmente rappresentata.
Una domanda che si sono fatti in molti, ancora oggetto di analisi e studi, è quanto i dipinti del pittore olandese siano stati influenzati dalla confessione riformata, all’epoca religione ufficiale dei Paesi Bassi e fede, teoricamente, dello stesso Rembrandt.
Innanzitutto, è evidente la sua approfondita conoscenza della letteratura biblica. Essa conferma come la dottrina protestante abbia incoraggiato la lettura, lo studio, l’insegnamento e la predicazione della Bibbia, ritenuta autorità ultima in ogni aspetto dalla fede e della morale in quanto ispirata dal Dio vivente. Nonostante ciò, non è chiaro se Rembrandt abbia aderito solo esteticamente al racconto biblico o se il messaggio narrato nelle pagine della Bibbia abbia realmente reso un cuore spento come il cadavere del dottor Tulp nuovamente vermiglio come le guance dei suoi allievi.
Riprendendo la caratteristica del verismo rembrandtiano, una questione importante è legata alla rappresentazione di Gesù. Mentre Calvino riteneva fosse meglio evitare la sua raffigurazione perché la sua natura umana rischiava di mettere in penombra la sua natura divina, Rembrandt cerca di risolvere questa difficoltà inserendo una luce che emana da Gesù per enfatizzare la sua unicità rispetto alle altre persone sulla scena. Così facendo, il pittore cerca, seppur limitatamente, di rappresentare la dottrina cristologica delle due nature, rimarcando la sua totale umanità e al contempo la sua totale deità [si veda ad es., Cristo che guarisce gli ammalati (1649) o Cristo che predica alle folle (1652)].
A proposito della luce, essa è un elemento ripetutamente utilizzato dal pittore olandese per rappresentare la presenza di Dio, la quale rimanda alla manifestazione della sua grazia nella vita degli uomini (interessante pensare che uno degli autoritratti di Rembrandt lo rappresenti come Paolo l’apostolo (1661). Forse un indizio della sua personale adesione all’insegnamento dell’apostolo?). In relazione alla luce divina, essa è talora legata a momenti più intimi, come nel Ritorno del figlio prodigo (1668) e ne La profetessa Anna (1631), probabilmente intenta a leggere i passi dei profeti che annunciavano la venuta del Messia, e altre volte a momenti più pubblici, come ne L’adorazione dei pastori (1646) o ne Il cantico di Simeone (1631).
Con questi pochi accenni, abbiamo leggermente scalfito la punta del pennello del Rembrandt. Non solo ci sarebbero molte altre cose da evidenziare sulle sue influenze riformate, sicuramente meglio espresse ed esaminate dagli specialisti, ma occorrerebbe trascorrere ulteriore tempo per approfondire come le sue amicizie cattoliche, ebree e mennonite abbiano plasmato aspetti della sua arte. D’altro canto, le rappresentazioni di scene bibliche sono una sorta di “commentario” offerto dall’artista, dove attraverso l’opera quest’ultimo condivide la sua personale esegesi, rivelando al pubblico, più o meno velatamente, le sue convinzioni ed influenze teologiche.
(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Che vi do!, XXXIII, n. 108, dicembre 2024, periodico quadrimestrale di Pane Quotidiano Onlus)