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“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (IV). Il Paradiso biblico ma non biblico di Dante

Dopo aver attraversato le sette cornici del Purgatorio, Dante e Virgilio giungono nel Paradiso terreste che si trova sulla sommità della montagna del Purgatorio. Qui scompare Virgilio, che è stato la guida sin qui, e appare Beatrice che accompagnerà Dante nel viaggio restante. Beatrice riflette la bellezza divina ed è portatrice di suggestioni cristologiche, una sorta di alter Christus. Lei impersona l’amore che salva e che incoraggia il poeta alla penitenza. Infatti, per procedere Dante deve sottoporsi ad un ulteriore rito purificatorio per diventare degno di salire in cielo. Nella processione a cui partecipa Dante si richiama ad elementi dell’Apocalisse e di Ezechiele, oltre a ispirarsi al racconto della trasfigurazione in cui gli apostoli gustano un anticipo della gloria di Cristo e ne vengono in qualche modo sopraffatti. 

Entrando nel Paradiso Dante si rifà ancora a tratti classici e biblici, nella fattispecie ovidiani e paolini. In particolare, è il rapimento di Paolo al terzo cielo che funge da modello per Dante. L’intreccio tra la letteratura pagana e quella giudaico-cristiano è per il poeta la sapienza entro cui “vede”, “sente” e sperimenta il Paradiso. La poetica di Dante nasce alla confluenza di queste correnti (classica e biblica), pur apportandovi il suo surplus di genio letterario ed intrecciandole nel contesto della sua visione teologica medievale.

Arrivato al cielo delle stelle, Dante incontra Pietro, Giacomo e Giovanni che lo esaminano rispettivamente sulle tre virtù teologali: la fede, la speranza e l’amore. Ancora una volta, Dante deve dimostrare di conoscere e possedere tali virtù. Nel paradiso non si è accolti per i meriti di Cristo in base all’imputazione al peccatore delle Sue virtù ricevute per fede soltanto, ma, in linea con la teologia cattolica, sulla base di un percorso di santificazione che passa attraverso tappe successive in cui si deve dimostrare qualcosa di infuso e cresciuto in sé stessi, fino alla recita del Credo. La cantica del Paradiso è intrisa di richiami biblici e spunti cristiani, ma la struttura teologica di riferimento non è evangelica. La salvezza è una montagna da scalare e uno stato da meritare, non una risposta fiduciosa ad un dono già compiuto da Gesù Cristo. In Dante la santificazione annulla di fatto la giustificazione.

Verso la conclusione del Paradiso, Dante raggiunge un vertice di devozione mariana, a ulteriore dimostrazione del carattere spurio della cifra biblica del suo poema. Maria è definita “la faccia che a Cristo più si somiglia” (XXXII,85-86). L’apice è raggiunto da una preghiera messa in bocca a Bernardo di Chiaravalle (un Padre della chiesa medievale molto amato da Dante) che si apre con i celebri versi “Vergine Madre, figlia di tuo figlio, umile e alta più che una creatura” (XXXIII,1-2). Alla visione di Maria segue quella di Dio, il principio unitario che dà senso al caos dell’universo, la Triunità divina e il Figlio scorto nell’immagine dell’essere umano. Una sorta di calco trinitario è testimoniato anche nella scelta di Dante di scrivere in terzine, di scrivere tre cantiche, ognuna delle quali composta da trentatre canti, che evocano anche gli anni della vita di Gesù Cristo (anche se l’Inferno, in realtà, ha un canto in più che funge da proemio della Commedia).

Alla visione di Dio al termine del Paradiso, il linguaggio è posto di fronte a suoi limiti e Dante conclude con il riferirsi alla teologia come “alta fantasia”, un sapere alto che non può non far ricorso alla poesia di fronte all’indicibile. Rispetto alle tendenze scolastiche coeve volte a razionalizzare o intellettualizzare il discorso su Dio, Dante presenta una teologia poetica in cui verità e bellezza, decantate e sperimentate, vanno insieme. 

La Commedia è un capolavoro che, nella sua straordinaria ricchezza e complessità, riflette una cultura impastata di quegli ingredienti che hanno reso l’Italia quella che è: genialmente assorbita da una religiosità che mescola la Bibbia e la cultura pagana, artisticamente intessuta in una spiritualità che non comprende l’evangelo come dono di Dio ricevuto per grazia soltanto, fortemente attratta dalla figura della “madre” (Maria) e della “donna” (Beatrice) in cui cercare l’amore. E’ questa commedia che, da Dante in poi, è il canovaccio della vita italiana.  

Articoli precedenti della serie: 
“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (I). Richiami biblici all’inizio della Commedia di Dante
“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (II). Risonanze bibliche e non solo nell’Inferno
“Nel mezzo del cammin di nostra vita ..” (III). Cosa c’entra il Purgatorio con la Bibbia?


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