Non più “metafisica” ma “popolare”. Una finestra sulla teologia cattolica del futuro
In principio era la metafisica cattolica: di stampo aristotelico, rivisitata e migliorata da Tommaso, capace di integrare spunti biblici e agostiniani, elastica al punto da metabolizzare correnti mistiche e razionalistiche, aperta ad aggiornarsi rispetto alla modernità, pur mantenendo le sue strutture portanti. La metafisica era insegnata nei seminari (due anni di filosofia, cioè di metafisica, precedevano lo studio della teologia), il cuore della catechesi, la filigrana dei documenti della chiesa, l’imprinting della sua morale e teologia pubblica. Insomma, era il marchio riconoscibile della chiesa cattolica. Partiva dai “principi primi” e, alla luce della ragione illuminata ulteriormente della rivelazione, per via deduttiva arrivava ad affrontare ogni anfratto dello scibile umano. Con questa metafisica, Roma combattuto la Riforma, il liberalismo e il modernismo.
Poi c’è stato il Vaticano II (1962-1965) e quel solido impianto è stato sottoposto a stress-test. La stagione della teologia “dei genitivi” (della demitizzazione, dell’inculturazione, della speranza, della liberazione, del post-colonialismo, dell’ecumenismo, del dialogo inter-religioso, ecc.) ha picconato la metafisica classica. In nome del “rinnovamento”, si è fatta strada una certa irrequietezza teologica e un’ansia di cambiare paradigma.
Poi c’è stato papa Francesco (2013- ). Di formazione teologica eclettica e incompiuta, argentino e non accademico, il papa ha da subito mostrato la sua frustrazione rispetto allo schematismo della metafisica, denunciandone il carattere astratto e “clericale”, lontano dai problemi della gente e offrente risposte a domande del passato. A loro modo, la traiettoria “in uscita” di cui si è fatto interprete e la “sinodalità” di cui si è fatto paladino sono formule che valgono anche per la teologia. Nel concreto, nel 2018 con la Costituzione Veritatis Gaudium il papa aveva mandato segnali alle Facoltà ecclesiastiche preparandole ad una stagione nuova. Dopo la morte di Benedetto XVI, Francesco ha cambiato il vertice della Congregazione per la Dottrina della fede con un teologo “non-metafisico” come Víctor Manuel Fernández. Ora con il Motu proprio “Ad theologiam promuovendam” (1/11/2023), ha cambiato lo statuto della Pontificia Accademia di Teologia che è un’istituzione vaticana al servizio del ministero teologico del papa.
Nel Motu proprio, Francesco auspica che la teologia conosca un “ripensamento epistemologico e metodologico”, una “svolta”, un “cambio di paradigma”, una “coraggiosa rivoluzione culturale”. Sullo sfondo c’è l’insoddisfazione per la metafisica tradizionale e per la cultura teologica ad essa associata. Secondo Francesco la teologia deve essere “fondamentalmente contestuale” e non più partire dai principi primi sulla scia del fondazionalismo. Deve tradursi in una “cultura del dialogo” con tutti e non più pensarsi come solo docente nei confronti del mondo, delle religioni, degli altri. Deve essere “transdisciplinare” e non più dare priorità alla filosofia. Deve essere “spirituale” e non astratta e ideologica. “Popolare” e non staccata dal senso comune della gente. “Induttiva” e non deduttiva. E’ un ritratto della teologia in cui Tommaso d’Aquino, Roberto Bellarmino, Leone XIII, Joseph Ratzinger, ecc. si riconoscerebbero? Non proprio. Forse Karl Rahner e qualche suo discepolo sì.
Quello del Motu proprio di Francesco sembra essere un manifesto di una teologia cattolica che, senza nominare la metafisica tradizionale, prende le distanze da essa in modi significativi. Non pare abolirla d’ufficio e in modo rivoluzionario, ma la sottopone ad un processo di “aggiornamento” e “sviluppo” accelerato tale da modificarne i connotati.
Come già notato all’inizio, la metafisica tradizionale è riuscita nel tempo ad assorbire tutti gli orientamenti emersi nel corso del tempo, anche quelli che all’inizio sembravano contrastanti al suo assetto del momento. Ha dato prova di grande capacità di adattamento nel segno della cattolicità. La domanda è: riuscirà lo strappo di Francesco ad essere ricucito nel tempo in modo tale che la teologia cattolica si aggiorni senza veramente cambiare? Per il momento, ci si deve misurare con una teologia cattolica che, sulla scia del Vaticano II interpretato da Francesco, utilizza codici e modalità apparentemente diverse rispetto a quelle tradizionali. La teologia cattolica del futuro sarà et-et: sia quella consolidata nei secoli, sia quella voluta da questo papa. Sussulterà tra l’una e l’altra dentro il quadro istituzionale della cattolicità romana.