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Non solo emozioni. Le tre “orto-” del risveglio

Risveglio è una delle parole più usate nel linguaggio evangelico. “Ci vuole un risveglio!” “Preghiamo per un risveglio!” “La nostra speranza è un risveglio!” Sono tutte frasi che comunemente si sentono nei discorsi evangelici in chiese e convegni.

L’impressione, tuttavia, è che non sempre vi sia una comprensione univoca o per lo meno convergente di cosa sia un risveglio. Alcuni possono pensare che sia un tempo di manifestazioni soprannaturali particolarmente impattanti. Altri parlano di tempi di confessione e ravvedimento.

Altri ancora lo associano al fenomeno di molte conversioni. Insomma, c’è il rischio di trasformare il risveglio in una sorta di catarsi cristianizzata. 


Non mancano certo buoni libri sull’argomento come, ad esempio, C. Hansen e J. Woodbridge, Il risveglio. Una visione degna di Dio, Firenze, BE Edizioni 2011, per non parlare del classico di Jonathan Edwards, Segni caratteristici di un’opera dello Spirito di Dio [1741], Caltanissetta, Alfa & Omega 1998.

Parlando di risorse, è appena uscito un saggio di tre studiosi norvegesi sulla rivista della Fellowship of European Evangelical Theologians: si tratta di Truls Liland, John Daniel, Andersen e Jan Inge Jenssen, “Perspectives on Christian Revivals and Societal Change”, European Journal of Theology 33.2 (2024) pp. 215-240 che riprende il tema e lo mette a fuoco in un’ottica interdisciplinare.


Gli autori sostengono che il risveglio evangelico sia teologicamente e storicamente definibile come un’azione di Dio che si manifesta nella “restaurazione della spiritualità autenticamente cristiana che consiste in corrette credenze, corrette pratiche e corretti sentimenti” (p. 219).

Il risveglio può essere riconosciuto quando tre fenomeni compaiono insieme (anche se non necessariamente con la stessa intensità e modalità) e si intrecciano tra loro (anche se con risultati differenziati):


  • l’ortopatia: i giusti sentimenti del cuore verso Dio, sé stessi, gli altri e il mondo;

  • l’ortodossia: le corrette dottrine intorno a Dio e al mondo

  • l’ortoprassi: le giuste pratiche di vita personali, ecclesiali e sociali 


Detta in sintesi, il risveglio è la restaurazione, il recupero o la riscoperta di come la vita cristiana dovrebbe essere vissuta, a seguito di una “inusuale visitazione di Dio” (M. Brown). Citando anche R.E. Coleman e Alister McGrath, per gli autori l’idea di fondo del risveglio è sempre la riscoperta dell’autenticità del cristianesimo per viverlo nella sua triplice configurazione che tocca quelli che Edwards chiamava i “sentimenti religiosi”, la dottrina evangelica e le pratiche di vita diffuse.

Dunque, il risveglio ha un’origine divina e tocca le dimensioni cognitive, affettive e comportamentali della vita (p. 221).

Non una senza le altre, ma tutte e tre insieme. Non basta vedere miracoli o fatti soprannaturali e insoliti: perché sia un risveglio, bisogna utilizzare la griglia delle tre “orto-”: ortopatia, ortodossia e ortoprassi.


Gli autori discutono poi l’impatto sociale dei risvegli e le loro ricadute sulla vita politica ed economica. Il risveglio: 1. parte sempre dalle vite individuali, 2: passa da quelle comunitarie (ecclesiali) e locali; 3. e si riverbera in quelle sociali e nazionali o internazionali, se raggiunge una massa critica rilevante.

I risvegli autentici hanno portato in dote alla società allargata la lotta alla corruzione e al razzismo, imprimendo un cambiamento sociale che si è tradotto in creazione di posti di lavoro, imprenditorialità diffusa e la costruzione di istituzioni inclusive e democratiche. In altre parole, il risveglio ha anche un impatto sistemico. 


Da studiosi norvegesi, gli autori presentano come casi di studio i risvegli associati ad Hans Nielsen Hauge (1771-1824), revivalista evangelico e padre della Norvegia moderna e al risveglio pentecostale in Norvegia nel primo Novecento. 


La fede evangelica è per natura risvegliata e bisognosa di risveglio, cioè sempre aperta a riscoprire l’autenticità della vita cristiana non solo dal punto di vista emotivo ed affettivo, ma anche cognitivo-dottrinale e sociale-morale.

I riformatori parlavano di “semper reformanda” per descrivere la fede evangelica che, ri-orientata dalla Parola di Dio, è altresì animata dal desiderio di una visitazione di Dio che spinga a riapprezzare la grandezza, la profondità e l’ampiezza dell’evangelo.


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